Il patto delle ortiche

Antonio Iannetta

 

14-09-2013

Dopo le domande del dott. Aparo di sabato scorso sul “patto” ho ripensato al mio passato, al mio patto tradito con i miei genitori, la società, le compagne e i figli. Ritengo doveroso alla mia età parlare e scrivere senza ipocrisie. Oggi mi vergogno profondamente di aver compiuto scelte che hanno prodotto dolore, lacrime e distrutto la serenità altrui.

Ecco perché non dimentico mai di consigliare ai detenuti giovani che la loro vita non devono gettarla alle ortiche. Se mi viene chiesto, racconto dei miei tempi, quando girare armati era la norma e le sparatorie e i morti riempivano la cronaca, come i sequestri, le rapine e gli attacchi terroristici.

Gli anni della mia gioventù comunque, per quanto violenti, non sono una giustificazione per i miei trascorsi. Pormi fuori dalle logiche comuni è stato il mio battesimo, bigiare per settimane intere le lezioni per andare in giro a fare danni insieme con altri mi riempiva di orgoglio. Spaccare vetrine, bucare gomme alle auto, rubare nei supermercati era il programma quotidiano, fin quando dopo un po' cominciava a stancare e si alzava il tiro.

Alcuni genitori imponevano ai figli di non frequentarmi e alcuni dei miei amici cominciavano ad evitarmi. Poi c’erano quelli che ci ammiravano ma avevano paura di imitarci… loro erano il nostro pubblico e alimentavano il mito delle nostre gesta.

Arrivò l'espulsione dalla scuola, le prime fughe da casa, le sostanze stupefacenti, le armi rubate ed esibite per intimorire. Ricevetti attenzioni e complimenti da malavitosi d'età maggiore e divenni, dopo i primi arresti, amico di chi si serviva della mia follia per regolare i propri conti. Io credevo di toccare il cielo con un dito, conoscevo gente che era spesso sulla prima pagine dei giornali e venivo trattato alla pari. Soldi, donne, abiti, auto, tutto con la finalità di stupire.

Ebbi poco tempo per godere dei miei proventi, gli arresti lunghi interrompevano i rari momenti di libertà, i figli nascevano senza che io potessi riconoscerli e il tempo scorreva, vuoto.

Oggi ripenso ai reati, ognuno era una nefandezza e significava il tradimento di un patto sociale stipulato dagli uomini al fine di una civile convivenza. I miei patti traditi sono in ogni campo, dalla famiglia, alla scuola, alla società, alle relazioni.

Trasmettere a chi vuole ascoltarmi che arriverà il conto da pagare può essere arduo, ma non dispero. A mio modesto parere, se i giovani vengono sollecitati e seguiti, possono iniziare una revisione critica, però non si deve abbandonarli una volta varcato il portone del carcere. Le persone giovani, anziane, lungodegenti, possono essere reinserite nella società, attraverso il lavoro, gli incontri, il teatro, gli studi. Il Gruppo della Trasgressione dimostra che un'altra politica carceraria è possibile e che i patti, anche se difficili, possono essere rispettati da chi li ha violati e traditi.