Le maschere di Venezia


Marta Sala

  05-06-2004

Durante il week-end sono stata a Venezia, in una favola fuori dal tempo.

Ovunque mi giri vedo stranieri spaesati e rapiti, qualcuno si perde e chiede aiuto per ritrovare la giusta strada; chi sa risponde, chi non sa, si scusa. Si improvvisano parole nell’idioma che si ritiene essere quello dell’interlocutore, per poi scoprire che si parlava la stessa lingua.

Le insegne danno molteplici possibilità per arrivare alla stessa meta, ma se scegli ogni volta una strada nuova, scopri che i negozi, tutti uguali, sono sempre diversi.

Le vie sono a volte larghe e illuminate, a volte talmente strette e anguste da far pensare ad una giornata buia e chiusa. Ma basta avere il coraggio di procedere sino alla fine per ritrovare il sole che ha solo voglia di scaldarti, senza chiedere nulla in cambio.

In questo idillio però c’è qualcosa di stonato, un timore che piano piano si avvicina. Non capisco da dove venga, perché mi prenda. Poi d’improvviso il mio incubo si materializza… tanti occhi inespressivi che mi fissano giudicanti. Non sono veri e propri occhi, ma buchi neri chi m’inghiottiscono e vogliono annullarmi. Sono quelle maschere veneziane tanto curate in ogni particolare, con piume e lustrini, ma senza occhi.

 

Sono tante, disposte in fila, immobili. Hanno un’espressione agghiacciante.
Non mi sento a mio agio.
L’istinto è quello di voltarmi per non essere sopraffatta, inghiottita, giudicata.

Sono state imprigionate in negozietti troppo piccoli per contenerle tutte, per lasciarle respirare, appese a inquietanti drappi insanguinati di velluto.

Loro, le maschere, vogliono sfuggire alla presa. Vengono in avanti, mi cercano, mi vogliono, ma io scappo.

O sono loro che cercano il mio volto per scappare?

 

In ogni caso non mi avranno. Resteranno appese a quel sangue per l’eternità, non le salverò dalle loro oscenità. Io di certo non le farò respirare. Non cadrò nel loro tranello.

Così mi allontano correndo. Mi rassereno quando la vista di quelle vetrine non occupa più la coda del mio occhio.

Ma l’inquietudine dentro di me rimane sopita, nascosta.. per tornare ad esplodere alla vista del prossimo negozietto, diverso ma sempre uguale.