IL FARO - Riunione 05-09-2003

Geometrie in evoluzione

 

da Margherita

Ieri c'è stato il primo incontro con il gruppo de Il Faro dopo il rientro dalle vacanze. I detenuti presenti erano una quindicina, alcuni dei quali già noti mentre altri partecipavano per la prima volta. La comunicazione è stata incostante: a tratti caotica, a tratti incalzante.

Dopo la fase iniziale dei saluti e dei commenti sull’andamento del reparto nel mese di Agosto, abbiamo letto e commentato uno scritto di Nico Zizzi che parla di "onnipotenza".

L'evidente confusione tra il concetto di onnipotenza e ciò che viene detto "illusione di onnipotenza" ha reso opportuna qualche riflessione sul significato del termine. Così, partendo dalla spiegazione dell'uso che Winnicott fa di questo concetto, è stato più facile distinguere fra "illusione di onnipotenza" propria del bambino piccolo e "sensazione di onnipotenza" di cui, ad esempio, può fare esperienza il rapinatore nel momento della rapina.

La discussione parte dalla premessa che l'onnipotenza assoluta non può esistere, così come altre volte si era detto che non esiste la libertà assoluta. Esistono dei confini ed è la realtà in cui l'essere umano vive, la realtà alla quale si appoggia, con cui si misura e con la quale a volte si scontra a generarli o imporli. Alcuni di questi limiti possono essere superati o spostati, mentre altri restano sempre e comunque imprescindibili. Se l'uomo fosse onnipotente non potrebbe evolversi, se non esistessero dei confini non potrebbe migliorarsi.

In questo senso i confini devono essere riconosciuti e accettati, ma allo stesso tempo possono fungere da stimolo per emanciparsi e pertanto venire spostati. La percezione di un limite, non esclusivamente fisico, può quindi diventare motivo di crescita personale se vengono richiamate e sfruttate opportunamente le risorse di cui l'individuo dispone.

Il discorso a questo punto si riallaccia alla riflessione sulla trasgressione, che può attuarsi come una violazione inconcludente della norma, ma può diventare una operazione innovatrice e costruttiva, quando porta a definire nuovi confini. E’ stato importante sottolineare che la trasgressione, vista di solito come movimento potenzialmente distruttivo, può essere anche intesa come desiderio di evolversi.

Ognuno di noi vive condizioni di chiusura che delineano un perimetro entro cui ci si può sentire oppressi. Come fare per liberarsi della sensazione di sentirsi chiusi da confini entro i quali ci si sente schiacciati? Per uscire da questo recinto è necessario a volte acquisire competenze non possedute in precedenza ed è necessario maturare il desiderio di emanciparsi ed impegnarsi al fine di delineare dei confini più ampi.

Nella fase finale dell’incontro, Aparo ha sviluppato alcune considerazioni che si appoggiavano sul libro di Primo Levi, “Se questo è un uomo” e da lì, la proposta di individuare, ognuno per sé, il perimetro e le condizioni utili per cercare di essere all'altezza dei propri ideali.

Primo Levi nel romanzo “Se questo è un uomo”, oltre a denunciare gli orrori dei campi di concentramento, sviluppa alcune riflessioni su come l’individuo possa, in funzione delle condizioni in cui vive e degli strumenti che possiede, perdere o alimentare progressivamente la propria ricchezza umana.

In condizioni di sofferenza e di precarietà estreme, come nei campi di concentramento, la mente dell’uomo viene gradualmente annientata e l’uomo ridotto a mortificanti compromessi pur di sopravvivere, un annientamento che, nei lager, ha portato spesso le persone a tradirsi le une con le altre e ne ha indotte molte al suicidio anche molti anni dopo la liberazione.

Ma in un passaggio del libro, Levi racconta anche di quando alcuni prigionieri riescono a sottrarsi alla tirannia dei loro bisogni primari. Ne parla come se si trattasse dell’alba di una nuova era, con uomini che cominciano a riprendersi la loro umanità quando, pur debilitati da fame e freddo, scelgono spontaneamente di dare parte della propria esigua razione di pane a tre compagni che avevano lavorato in favore di tutti.

Esistono dunque delle condizioni fisiche e psichiche che annientano la possibilità di desiderare, che azzerano la speranza e il rispetto di sé e degli altri e che, come è accaduto a molti dei sopravvissuti ai campi di sterminio, possono causare tanta mortificazione da indurre al suicidio.

A volte ci si sente irreparabilmente distanti da ciò che vorremmo essere; tante esperienze alimentano invece il desiderio di costruire, di collaborare, di identificarsi con gli altri e aiutano a maturare una buona sintonia con i propri ideali personali. Quali sono le condizioni che fanno venir voglia di inseguire i propri ideali?