IL FARO - Riunione 21-02-2003

Il caso e la scelta

 

da Antonella

Coordinatore dott. Aparo
Detenuti Angelo - Francesco - Lello - Antonio - Maurizio - Luca - Leo - Ernesto - Ivano - Pietro - Giorgio - Giovanni - Marcello - Maurizio Tremolada
Studenti Antonella, Margherita

L'incontro di ieri al "Faro" ha avuto due temi centrali:

1) Il mix tra caso e responsabilità individuale che dà origine a determinati eventi

Ivano ha aperto l'incontro leggendo il suo scritto "Il gatto" che affronta il tema del caso. Qui il caso diventa più facilmente comprensibile perché la storia parla di gatti e, in quanto animali, la responsabilità sul proprio destino non entra in gioco. Ci sono otto gattini e, casualmente, la vita di ognuno di essi prenderà una strada diversa, più o meno fortunata. Ivano dice però di non essere ancora riuscito a riflettere sulla possibilità che ognuno ha di affrontare il caso.

Maurizio a questo punto ha letto il suo scritto dove metaforicamente la vita viene vista come una partita a poker, un mix, cioè, tra scelte individuali e "carte" che ci riserva il caso.

A Ernesto viene più facile parlare di destino che di caso, un destino già segnato ma che l'individuo può in parte modificare, "aggiungendoci qualche pezzo".

Antonio vede nel caso sempre una conseguenza di qualcosa e non come un fatto a se stante.

Il prof a questo punto cerca di "mettere insieme i pezzi":

Casualità e scelta

Caso <->Scelta
Complessità <->Unità

Il rapporto che c'è tra caso e scelta si avvicina molto a quello che c'è tra complessità e unità.
Nel secondo caso abbiamo da un lato la complessità costituita da quegli strati di elementi inconsci che determinano il divenire delle cose e su cui la persona non avrebbe alcun potere, e dall'altro lato abbiamo l'unità individuale, la libertà e la responsabilità che ogni individuo ha nel prendere decisioni.
Allo stesso modo, nel primo caso abbiamo da una parte la casualità quale fenomeno che la persona non può controllare perché dipendente da eventi a lei estranei, e dall'altra parte abbiamo la scelta e quindi la possibilità che una persona ha di modificare gli eventi.
Quindi se da un lato è vero che si può stare in un cassonetto per caso, come accade al gattino di Ivano, è altrettanto vero che se determinati studenti e detenuti fanno parte di questo gruppo e non altri, è perché essi hanno preso delle decisioni e hanno fatto delle scelte che li hanno portati ad aprire delle strade e a chiuderne delle altre, valorizzando quelle imboccate.
Ciò significa che se è innegabile che il caso esiste, è, a maggior ragione, vero che la volontà addomestica il caso.

Casualità o causalità?

Ciò che viene chiamato casuale si riferisce ad un evento le cui cause ci sono ignote o non dipendono da noi. Un evento è quindi casuale in relazione alla persona che lo subisce, ma non lo è se lo riferiamo a determinate leggi. Prendiamo l'esempio di un uomo a cui cade una tegola in testa e, per questo motivo, finisce in ospedale. Il fatto può essere considerato un evento sfortunato e casuale, anche se in realtà saranno accadute determinate cose che possono essere spiegate dalle leggi della fisica e che hanno portato inevitabilmente alla caduta della tegola.

 

2) Il grado di coscienza su ciò che accade dentro e che lo spinge ad agire

A questo punto, il tema dell'incontro si è spostato sul grado di coscienza del nostro mondo interiore che ci spinge ad agire e a compiere delle scelte che a volte portano a conseguenze negative.

Francesco ha letto il suo scritto "Intreccio di poli"; mentre prima era fermamente convinto che ogni scelta presa dipendesse essenzialmente da una decisione cosciente, adesso ha (parole sue) "ammorbidito" il suo punto di vista. Il confronto con l'altro polo del gruppo, che invece ritiene che qualunque cosa accade perché guidata da motivazioni inconsce, lo ha portato a credere che nelle persone coesistono due poli, quello cosciente, che rende la persona responsabile di ciò che fa, e quello inconscio verso cui non si ha potere. Francesco vede quindi una doppia polarità, non solo nel gruppo, dove vi sono due netti schieramenti, ma anche all'interno della stessa persona che è, al tempo stesso, cosciente e non cosciente di ciò che fa. Nonostante l'opposizione evidente di questi due poli, forse è proprio la loro diversità che li spinge ad attrarsi e ad incontrarsi.

Secondo Luca parlare di strati di coscienza e di parti di sé inconsce può essere un modo per negare la propria responsabilità rispetto agli atti compiuti. Secondo lui il carcere è una cura contro l'irresponsabilità perché attraverso la privazione della libertà personale farebbe capire al detenuto che l'unico modo per vivere in questa società è quello di essere responsabili.
Io credo che la responsabilità a cui si riferisce Luca è una responsabilità a posteriori, è cioè il prendersi carico e riconoscere come proprio ciò che si è fatto. Da quanto ho capito l'irresponsabilità per lui non è compiere delle scelte guidate da motivazioni inconsapevoli, ma usare questo come una scusa per giustificare quanto si è fatto e non prendersi carico della gravità del gesto compiuto.

Marcello in risposta a Luca ha letto il suo scritto "Vivere nell'ombra". Secondo lui, infatti, Luca vivrebbe nell'ombra perché non riesce a riconoscere le parti più nascoste di sé che però gli appartengono. Vive nell'ombra colui che si nasconde dietro alla propria maschera e che nega l'esistenza di un qualcosa al di là di essa. La responsabilità, così come viene intesa da Luca, è, per Marcello, solo un modo per giudicare se quanto si è fatto è giusto o sbagliato, ma non dice nulla sulla complessità delle motivazioni inconsce che ci possono essere state dietro.

Giovanni parla di "consapevolezza non voluta", dicendo che si può essere consapevoli di ciò che si fa ma non del perché; è come se, nel momento in cui uno compie una determinata azione, la persona indossasse una maschera, un velo che lo porta ad agire un istinto di cui si è consapevoli, e quindi responsabili, ma di cui non si conoscono i precedenti.

Secondo Maurizio una persona può regolare il rapporto tra le parti consce e inconsce di sé attraverso la riflessione e ponendosi continuamente domande.

Il prof ha voluto chiudere l'incontro dicendo che quello che si sta facendo è una costruzione dialettica che non prevede una risposta uguale per tutti.
La conoscenza del punto di vista degli altri e l'integrazione delle opinioni altrui con il proprio pensiero sono gli unici due elementi che favoriscono il dialogo e la convergenza.

A questo proposito vorrei richiamare l'ultima frase dello scritto di Francesco che, secondo me, è proprio riuscito a cogliere questo fatto importante:

"Come si può trovare un intreccio tra queste due tesi?
L'unico momento convergente tra questi due pensieri forse lo troviamo proprio nell'attimo in cui si scontrano e proprio perché incompatibili si attraggono
."