Le diverse abilità

Silvia Gianni

11-10-2012  

Dai nostri incontri del martedì è emerso, a partire dalla storia di Michel Petrucciani, un pianista disabile, che l’uso della definizione “diversamente abile”, invece del termine “disabile”, risponde all’obiettivo di mettere in evidenza le competenze della persona, spesso competenze che le persone normodotate non hanno o non praticano.

Io credo che quando le persone parlano dei disabili si concentrano troppo sulla terminologia corretta, distraendosi in questo modo sia dalla persona nel complesso, sia dall'argomento di cui stanno parlando, e questo ostacola il rapporto tra l’abile e il “diversamente abile”.

Quando una persona parla con me, quel che conta non sono le parole che usa, ma la libertà che si viene a creare nello scambio e lo spazio che riusciamo a darci. E’ in questo spazio che si può parlare di dialogo, di reciprocità e di come ognuno considera l’altro, non nelle parole politicamente corrette che uno utilizza per definire l'altro.

Con questo non voglio dire che non mi importa quello che gli altri pensano di me, perché mi importa molto in realtà; quello che intendo è che quello pensano di me gli altri non si vede dal termine che usano per definirmi ma dal modo in cui si comportano in generale con me.

Per la mia esperienza spesso quelli che fanno finta di non vedere la sedia a rotelle è perché vedono solo quella.