La barca

Dimitar Georgiev

  2 - 10 - 2005
 

Io e mio fratello. Si, avete capito bene, ho un fratello gemello tale e quale a me, ma solo fisicamente. Come persone siamo molto diversi. Per essere precisi, siamo come terra e cielo che non si separano mai ma non hanno niente altro in comune.

Da quando ricordo è sempre stato così: io ero silenzioso e lui ribelle, quando si trattava di sentire i genitori io li ascoltavo, lui invece no, faceva sempre di testa sua. Eravamo inseparabili e quando lui sbagliava le punizioni le dovevo subire anch’io. Poi non mi stavano bene, però stavo zitto. A me piaceva andare a scuola per imparare, a lui per divertirsi. Insomma ci assomigliavamo solo fisicamente.

Finché eravamo bambini tutto andava bene, non mi importava più di tanto di quello che faceva mio fratello. Ma il tempo passava e noi crescevamo, le differenze si cominciavano a notare. Mio fratello era bravo a giocare a pallone, aveva molti amici e le prime fidanzate che io potevo solo sognare. Cominciavo ad invidiarlo, volevo essere come lui, solo che io non ero lui, mi mancava tutto quello che lui aveva.

Allora diventai la sua ombra. Lo ascoltavo, ubbidivo a ogni sua mossa, in poche parole, mi immedesimavo in lui. Sono arrivate le prime feste, tanti amici, ragazze a volontà e cominciavo ad essere invidiato anch’io. Tutta la situazione mi piaceva, ma nel profondo del cuore sapevo che tutto questo non era mio.

Cominciavano anche i primi problemi; i miei volevano che noi andassimo in università, invece noi marinavamo la scuola. Quando siamo stati scoperti è successa la fine del mondo, ma dato che i genitori sono tutti uguali, ci hanno perdonato.

Nella mia testa cominciava a cambiare qualcosa, non mi piaceva ciò che faceva mio fratello però non potevo fare a meno di lui. Molte volte siamo arrivati quasi alle mani ma lui non mi ascoltava, faceva sempre quello che voleva e io ubbidivo, era più forte di me. Tante volte mi sono chiesto il perché di tutto questo, forse perché era mio fratello e gli volevo tanto bene, forse perché era sempre presente quando io avevo bisogno.

Un giorno mentre stavamo parlando ci è venuta un’idea geniale, quella di costruire una barca. L’idea mi piaceva molto, ero entusiasta, anche se avevo un po’ di timore. Mio fratello la voleva utilizzare per attraversare l’atlantico, invece io per fare qualche giro in mare, non lontano dalla costa. Siccome c’era tempo e la barca era solo nei nostri progetti pensavo che sarei riuscito a fargli cambiare idea.

Ci eravamo messi d’accordo per la barca, avevamo racimolato i soldi dai nostri salvadanai e per farci aiutare anche dai nostri genitori ero andato a raccontare loro il nostro progetto, non quello di mio fratello però, sapevo che non lo avrebbero approvato.

Ottenuto il loro appoggio abbiamo cominciato a studiare come si costruiscono le barche. Non avevamo alcuna esperienza ma con i libri abbiamo imparato molto. Così cominciava l’impresa più grande della nostra vita.

Pezzo dopo pezzo, in un vecchio garage di nostro padre nasceva la barca, la nostra barca. Lavoravamo tantissimo ed io ero orgoglioso di noi; non siamo mai andati d’accordo come in quel momento. Ci sono stati degli screzi, lui avrebbe voluto usare dei colori più chiari, io più scuri; lui voleva fare in fretta, io ero per la perfezione. Tutto questo non mi preoccupava, mi preoccupava invece il piano di mio fratello.

Per convincerlo cominciai a raccontargli come sarebbe stato bello andare in barca attorno alle isolette che ci sono numerose vicino alla costa e come sono belle. Lui non mi rispondeva, stava in silenzio facendo dei cenni con la testa. Era quello che mi faceva paura, io conoscevo bene mio fratello.

La barca era pronta, l’indomani saremmo salpati per la prima volta, l’emozione era indescrivibile. Ci siamo svegliati particolarmente allegri, siamo scesi sulla spiaggia, dove si vedeva la barca. Era bellissima, mi sembrava ancora più imponente di quello che era. E il viaggio ebbe inizio.

Scendendo nella stiva mi accorsi che era piena di viveri e mi spaventai: mio fratello voleva attuare veramente il suo piano. Corsi a chiedergli delle spiegazioni e lui molto tranquillamente mi rispose: “Non era quello che volevamo tutti e due attraversare l’Atlantico?”

Lo guardai, gli dissi di no: lui voleva, ma io no! Ma siccome mio fratello rimaneva comunque mio fratello, aveva accettato di fare qualche giro attorno alle isole solo per farmi cambiare idea. E siccome lui è uno che le parole le sapeva usare bene, era riuscito nel suo intento, io avevo accettato.

Ci siamo avviati verso il mare aperto, io avevo una paura tremenda, chiedevo come avremmo potuto navigare, essendo noi alla prima esperienza, ma lui rispondeva che lui sapeva cosa fare e che non avrei dovuto preoccuparmi. Io avrei voluto credergli, ma avevo paura di intraprendere un così lungo viaggio, in fondo non era quello che avrei voluto fare.

Ero arrabbiato con me stesso, mi sono chiesto perché non avevo la forza di decidere da solo quello che volevo fare, mi sentivo un debole e trovavo solo scuse nel dire che lo seguivo perché era mio fratello.

Il viaggio procedeva senza intoppi, il tempo era bellissimo, mio fratello mi diceva: “Hai visto che va tutto bene?”, io mi ero quasi convinto, però sapevo che prima o poi il mare si sarebbe potuto alzare e la nostra barca era troppo piccola per sopportare le onde.

I giorni passavano e io non stavo bene, non ero più entusiasta di quello che stavamo facendo. Tentavo di dire a mio fratello di tornare indietro ma lui non voleva sentire parlare, era troppo sicuro di sé. Quella sicurezza che lui aveva e che a me mancava era una delle ragioni per cui decideva sempre lui.

Il viaggio procedeva lentamente, cominciava a soffiare un vento gelido, il sole si era nascosto dietro alle nubi e il mare ci sbatteva tra un’onda e l’altra.

Dicevo a mio fratello: “vedi cosa abbiamo fatto”? Lui niente, nemmeno un cenno.

La situazione peggiorava, se avessimo proseguito non ci sarebbe stata via d’uscita, saremmo morti tutti e due. Allora ho deciso di prendere la situazione nelle mie mani.

Sono saltato sulla schiena di mio fratello e con la forza l’ho immobilizzato; gli ho legato mani e piedi e per non farlo parlare anche la bocca. L’ho trascinato dentro la stiva e sono uscito a girare la barca verso un ritorno incerto; non sapevo orientarmi bene, a mala pena sapevo utilizzare la bussola.

La situazione era disperata, il mare ci sbatteva e ci trascinava ma io per la prima volta non ho avuto paura, ho deciso da solo ed ero orgoglioso di me stesso.

Mio fratello era nella stiva, mi è venuta un’idea: sono andato a tirarlo fuori, così lui mi poteva vedere. Era la punizione che volevo infliggergli. Doveva vedere quanto impegno e sofferenza avrei dovuto spendere per poterci tirare fuori dal pasticcio in cui ci eravamo cacciati.

Speravo di riuscire a trovare la terra ferma, ma speravo anche che mio fratello capisse che nella vita ci sono dei limiti e che non si possono oltrepassare.

Questo mi importa tantissimo, perché io ho un solo fratello e non ne posso fare a meno.