Ricompattare i cocci

 

Antonio Iannetta

13-09-2009
 

Ieri, sabato 12 settembre, il Dottor Aparo ha introdotto un nuovo tema, che ha chiamato: il mio nome, il mio progetto.

Desidero poter contribuire alla nascita di un progetto comune, che possa concretizzarsi divenendo anche individuale, rafforzando le motivazioni di “rinascita” a lungo vagheggiate e rivitalizzando progetti spesso “falliti” e di cui si portano addosso le cicatrici.

Sarebbe mio desiderio divenire un cittadino che, se fermato casualmente da una volante, non venga molestato, offeso, denigrato. Questo accade il più delle volte, grazie ai miei precedenti. Ma se può “starci” un “me lo sono meritato” dovrebbe starci pure “l’ho pagata”. Scusate l’esempio, ma vorrei cercare di avere una vita normale, con qualche gioia per le piccole cose, quelle che prima mi venivano a noia.

Il Dottor Aparo con il titolo evocativo odierno, vuole provocatoriamente mettere in moto un processo che, attraverso confronti, scontri, spinga il gruppo ad esplicitare istanze, bisogni, sogni, usando le sue competenze per limare gli eccessi e aiutarci a creare un progetto. Spesso ci ha aiutato, con la dialettica di cui è portatore, ad aprirci, cercando di scuoterci ed aprire la strada al rinnovamento.

La duttilità è sconosciuta ad alcuni di noi e, purtroppo, le resistenze dovute alle condotte di vita pregresse resistono eccome.

E’ pur vero che il forte istinto naturale da predatore è ormai affievolito, indebolito, quasi del tutto sopraffatto dal raziocinio che indica altri valori primari, più vicini al mio e nostro modo d’essere attuale.

E’ doveroso sottolineare che bisogna lavorare per superare le resistenze legate al luogo in cui viviamo. Vivere in carcere e frequentare il gruppo significa essere capaci di evitare le provocazioni quotidiane, ascrivibili alle tensioni esistenti e nel contempo seguire le indicazioni liberamente sottoscritte, che regolano gli intenti del gruppo. E’ comprensibile che qualche volta l’alternanza tra queste dualità in contrasto porti a conseguenze che abbisognano dell’intervento del dottore presso le autorità competenti.

Il gruppo è fucina e laboratorio dove si forgiano idee che trovano e dovrebbero trovare la naturale realizzazione. Le diversità individuali possono e devono trovare obiettivi comuni su cui indirizzare le nostre energie, essere quindi ricchezze e non divisioni.

E’ necessario non sottostimare il ricambio continuo dei componenti del gruppo di San Vittore, dovuto a scarcerazioni, misure alternative o trasferimenti; l’inserimento di nuovi soggetti abbisogna di ambientamento, adattamento e conoscenza, altre che accettazione da parte del gruppo.

Trovate le motivazioni, ognuno con i propri tempi, si cerca di ricompattare cocci e frammenti sani, rimasti nonostante le nostre furie demolitrici.

Ricordo le notti insonni in cui rivedevo, con visione nuova, alcuni miei atti e ne prendevo le distanze. Non è stato facile, è avvenuto gradualmente, ma se inizialmente sentivo un vuoto allo stomaco, piano piano un progetto di vita diverso si è delineato: gli uomini in bici, d’inverno, al mattino presto che pedalavano verso la fabbrica non erano falliti, non erano da sbeffeggiare, erano uomini coraggiosi. Non ero io il coraggioso che andavo in armi a rapinare banche, minacciando lavoratori inermi e impiegate, casalinghe e pensionate.

Vorrei ripartire dall’ultimo fallimento, diradare la nebbia e avere il mio nome sul mio progetto di vita. Un progetto simile a tanti altri, ma unico perché è il mio, che cresce insieme ai tanti, stanchi, delusi e intenzionati a tornare nell’ombra, dimenticare che un giorno nei loro deliri di onnipotenza si erano sentiti dei.