Ritorno tra i banchi del gruppo della trasgressione


Romeo Martel

  29-04-2004
Il gesto provocatorio risponde al desiderio di limitare la propria libertà perché non ci si sente in grado di vivere e di spendere il valore che essa contiene.

 

Per la terza volta ho partecipato all'incontro con i ragazzi del liceo di Carate Brianza, insieme agli studenti del gruppo della "Trasgressione" e con il nostro caro e tempestoso dott. Aparo. C'è voluto qualcosa di molto forte per farmi ritornare a scrivere per il gruppo e sulla mia trasgressione. Nel bene e nel male, ho avuto la sensazione di capire qualcosa di me stesso.

Nella mattinata si cerca di affrontare due argomenti sui quali i ragazzi si erano molto soffermati con i loro temi in classe, "La Maschera" e "La Libertà", ma la comunicazione non è fluida. Gli studenti del liceo preferiscono intervenire solo se si sentono sicuri sull’argomento; questo si rivela controproducente, vi è scarsa partecipazione.

Ma con Aparo accade sempre qualcosa quando meno te l'aspetti. Ed è accaduto che ho capito io, ho capito quando dal suo cilindro ha tirato fuori due esempi di libertà, cioè il senso della libertà vissuto da due persone diverse, e rispettivamente, da un detenuto e da una ragazza in occasione di una recente visita a San Vittore di un gruppo di scout:

Ricordo che con il dott. Aparo avevamo cominciato a parlare di cosa è per ognuno di noi la libertà quando a San Vittore il gruppo della trasgressione era appena nato; a distanza di sette anni, la stessa domanda non poteva riattraversarmi la mente senza coinvolgermi. E’ sulla mia pelle, con oltre dieci anni di prigione, che ho vissuto il rifiuto di comprendere le cose nel loro giusto verso.

Mi sono rivisto prima di entrare in carcere. La libertà di cui parla il detenuto è vincolata al contrasto con qualcuno che ostacola e all'approvazione di qualcun altro che valuta il risultato della battaglia: quanto più appariscente e pericolosa è la sfida, tanto più intenso è il senso della libertà. Il gesto provocatorio verso la polizia non è altro che il tentativo e il desiderio di limitare la propria libertà perché non ci si sente in grado di vivere e di spendere il valore che essa contiene.

La libertà subordinata all’approvazione di chi ti riconosce vincitore nella sfida porta in prigione. Ed io sono finito in prigione, proprio come lui, perché il mio senso della libertà aveva bisogno della prigione.

Trovo invece produttiva e creativa l’immagine di libertà proposta dalla scout perché in quell’immagine vivono in armonia e in equilibrio il desiderio di qualcosa e la possibilità di realizzarlo, così che la persona può sentirsi un tutt'uno con se stessa.

Oggi credo che sto diventando quello che volevo. Sento di realizzare quotidianamente quel desiderio. E se questo è potuto accadere anche col mio passaggio dalla prigione, allora benedico la prigione.