Libertà e danza


Antonella Cuppari

  21-05-2003

La libertà è una meta da raggiungere o un modo di vivere?
Ciò che è certo è che la libertà è un concetto che sta a cuore a tutti gli esseri umani e la storia è ricca di esempi di lotte in suo nome.

La libertà è un argomento che ha stimolato tutti i campi del sapere e dell’arte. Essa ha dei confini così ampi e indefiniti che il rischio è quello di perdersi. Per evitare ciò, ho pensato di contestualizzarla all’interno di una realtà che mi sta particolarmente a cuore: la danza.


La danza libera

Henri Matisse – “La danza” – 1910 – olio su tela
260 x 391 – San Pietroburgo, Ermitage

Se dovessi dare una definizione di libertà, di primo acchito direi che essa è il diritto e il bisogno di una persona di esprimersi, di esistere, di essere e di realizzarsi in un mondo costituito da altrettante persone che hanno la sua stessa necessità.

L’espressione di sé può avvenire in diversi modi: uno di questi è la danza.

La danza è sempre stata una forma d’espressione umana fin dai tempi più antichi.

Il movimento del corpo di colui che danzava entrava in relazione col movimento del mondo, col mutare degli eventi, con lo scorrere della vita. La danza era vissuta come possibilità di sentirsi parte di un tutto e di incarnare ed esprimere le proprie emozioni e sentimenti.

Da “La Danzaterapia” di C.Macaluso e S.Zerbeloni, Ed. Xenia tascabili.

La storia della danza è troppo lunga per poter essere riassunta in poche righe. Quello che accadde in Occidente, sul finire del 1500, fu che, a poco a poco, la danza, che fino a quel momento era considerata “madre di tutte le arti ed espressione della vita a un grado più intenso e superiore” (Curt Sachs), perdette la sua funzione comunitaria per diventare strumento esclusivo nelle mani di professionisti che ne fecero oggetto di rappresentazioni pubbliche.

La danza accademica sviliva l’espressività e la subordinava alla purezza del movimento. Il balletto negava la natura terrena dell’uomo; il suo scopo era quello di elevarsi dal suolo verso l’alto per vincere quella tanto odiata forza di gravità che richiama alla terra e all’umano vivere.
La danza accademica vedeva nella natura stessa dell’uomo dei limiti, e così cercava una perfezione che però non poteva esistere in natura ma che invece era là, in cielo. La danza accademica finì così per cristallizzare i movimenti all’interno di una sfera di perfezione tecnica, di gesti codificati e di regole estremamente rigide e che lasciavano poco spazio all’individualità e alla libera interpretazione.

Il Novecento fu un secolo di profondi rinnovamenti in tutte le arti, danza compresa. Il bisogno di esprimere liberamente il proprio essere uomini, spinse alcuni danzatori a mettere in discussione le rigide regole imposte dalla danza accademica.

Su queste basi nacque in quel periodo la danza libera, una danza che garantiva la piena espressione del proprio mondo interiore. I massimi esponenti di questa corrente furono: Isadora Duncan, Mary Wigman, Rudolf von Laban, Kurt Joos e Martha Graham (una delle fondatrici della modern dance).

Sicuramente Isadora Duncan (1877-1927) fu una delle madri di questo nuovo spirito rivoluzionario:

Duncan, gettò via tutù e scarpette con le punte di gesso per danzare a piedi nudi, indossando tuniche leggere e liberando il corpo da ciò che, artificiosamente, lo comprimeva e gli impediva di manifestare la sua energia vitale e il suo potenziale espressivo.

Da “La danzaterapia” – C.Macaluso, S. Zerbeloni

Per la Duncan, il corpo non era più qualcosa da allenare, ma era una miniera preziosa e colma di senso in sé; era un tesoro da scoprire, conoscere e tutelare. Per lei la danza non rappresentava solo una possibilità espressiva per l’individuo, ma per l’intera collettività.
La danza libera della Duncan, esprimeva la libertà del genere umano e non solo del singolo:

.La danza del futuro sarà un movimento nuovo, il risultato dell'intera evoluzione attraverso cui è passata l'intera umanità. […] La danzatrice non apparterrà ad una nazione, ma all'umanità intera; non danzerà in forma di ninfa o di fata, o di seduttrice, ma in forma di donna nella sua espressione più pura. […] Ella danzerà la libertà della donna, aiutando le donne a raggiungere una nuova consapevolezza della forza e della bellezza potenziale del loro corpo e del rapporto che esso ha con la natura della terra e con i figli del futuro.

Danzerà il corpo che risorge da secoli di oblio civilizzato, che risorge non nella nudità dell'uomo primitivo, ma in una nudità nuova, non più in lotta con la spiritualità e l'intelligenza, ma unita ad essa in una gloriosa armonia…Rispecchiando in sé le onde, i venti, i movimenti delle cose che crescono, il volo degli uccelli, il passaggio delle nuvole ed infine il pensiero dell'uomo nel suo rapporto con l'Universo… L'intelligenza più elevata nel corpo più libero!

Isadora Duncan

Altro importante esponente e teorico della danza libera fu Rudolf von Laban (1879-1958). Egli analizzò il movimento, non solo da un punto di vista artistico, ma prendendo in considerazione anche le sue più intime motivazioni psicologiche. Lo spazio del movimento non era per lui un vuoto da riempire, bensì una materia plasmabile in mutevoli architetture di movimento.

La danza libera non ha distrutto e cancellato la danza accademica; le rigide regole che quest’ultima imponeva e che vennero vissute come ostacoli, diventarono paradossalmente motore creativo che diede origine ad una nuova concezione della danza.

La danza libera portò alla nascita della modern dance, che aveva l’intento di creare un legame con la vita dell’uomo, con le sue passioni e con i suoi sentimenti.

Io credo che tantissime altre forme di danza nate successivamente (ad es. la danza jazz, il blues, il charleston…) siano state, a loro modo, danze libere, degli atti di libertà.

Un atto di libertà è quello che nasce in un contesto precario, limitante, difficile; è un momento quasi magico perché riesce a trasformare gli ostacoli in risorse, in gioco.

La persona più libera non è, secondo me, colei che non incontra ostacoli sul suo cammino. Se intendessimo la libertà in questo modo ne deriverebbe che nessuno al mondo è realmente libero, dato che ogni uomo incontrerà sempre, prima o poi, delle situazioni limitanti che gli impediranno di soddisfare le sue esigenze.

Io credo che realmente libera è, al contrario, la persona che accetta le difficoltà e gli ostacoli della vita e che è in grado di compiere su di essi questi famosi “atti di libertà”.

La libertà è, a mio avviso, la capacità di vedere il bicchiere mezzo pieno, perché solo così è possibile “uscire dalla cacca”. Libertà è vedere nei propri difetti e nella propria imperfezione, ciò che ci rende “unici” e che ci dà identità. La libertà per me è creazione, è vita, è quella che riconosce le imperfezioni, che accetta la morte ed esalta la vita.

Libero è l’artista che non distrugge e non si lascia distruggere dalla sua sofferenza e dal suo caos interiore, ma che usa questi come fonte per la propria creatività.

La danza vive ugualmente nel tempo e nello spazio. In essa creatore e creazione, opera e artista, fanno tutt’uno. Movimento ritmico in una successione spazio-temporale, senso plastico dello spazio, viva rappresentazione di una realtà visiva e fantastica… tutto è presente nella danza: il corpo, che nell’estasi viene trasceso e dimenticato per diventare ricettacolo della sovrumana potenza dell’anima; l’anima, che trae una felicità e una gioia divina dall’accresciuto movimento del corpo liberato d’ogni peso… il desiderio di danzare, perché chi danza acquista un potere magico che elargisce vittoria, salute, vita; un legame mistico, che nella danza unisce la tribù tutta, e il libero manifestarsi della propria individualità, in una completa aderenza al proprio io. Nessuna arte ha confini così ampi.

[…] Chi danza si abbandona alla beatitudine di un gioco consacrato, all’ebrezza che lo allontana dalla monotonia della vita di ogni giorno, dalla realtà tangibile e dalla prosaica esperienza quotidiana e giunge là dove immaginazione, fantasia e sogno si destano e diventano forze creative… la danza è la vita a un grado più elevato e intenso.

Curt Sachs, “Storia della danza”

 

Si può parlare di libertà in carcere?

Se la libertà non si definisce sulla base del numero di ostacoli che ci circondano, bensì sulla capacità che una persona ha di agire trasformativamente su questi ostacoli, allora non siamo pazzi a parlare di libertà in carcere.

Le mura del carcere e le sbarre recludono, sono opprimenti, tiranniche. Parlare di “detenuto libero” può essere un ossimoro eppure potrebbe anche avere un senso.
Un detenuto è libero, non se evade, ma se è in grado di agire sulle mura del carcere affinché esse non siano più opprimenti.

Non si possono distruggere tutti gli ostacoli e le barriere del mondo, così come non si può fuggire sempre dalle difficoltà e dai problemi della vita.
Al mondo i muri esisteranno sempre; alcuni cadranno ed altri verranno nuovamente eretti. Questo non significa che l’uomo perpetua nei suoi errori, ma deriva dal fatto che i muri, a volte, servono; essi possono proteggere, difendere, generare incomprensioni...
La funzione di un muro viene data da chi, col muro, si trova a fare i conti.

La stessa cosa io credo valga per il carcere; le sbarre possono opprimere ma possono anche diventare un confine, una “zona di frontiera”, uno “spazio di mezzo” in cui è possibile far incontrare il dentro e il fuori, i detenuti e la società.

Questo è possibile perché le mura accendono emozioni, stimolano riflessioni, spingono le persone a cercare di superarli per ritrovare se stesse al di là di esse.

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Bibliografia:

C. Macaluso, S. Zerbeloni - “La danzaterapia” - Ed. Xenia tascabili
M. Guatterini – “L’ ABC del balletto” – Ed. Mondatori
C. Sachs – “Storia della danza”