Lettera al Presidente

Valentina

Gruppo Trsg Esterno

14-05-2012

 

Egregio signor Presidente,

ho letto alcune delle lettere che i detenuti del Gruppo della Trasgressione le hanno scritto e ho deciso anch'io di provare a intrecciare la realtà del Gruppo con la mia esperienza e il mio punto di vista, esattamente come hanno fatto i detenuti.

Mi chiamo Tiziana ho 29 anni e mi sono laureata in Psicologia con 110 e lode a Febbraio 2009 all'Università Bicocca. Da due anni frequento una scuola di specializzazione in psicoterapia per completare il mio percorso formativo e coronare il mio desiderio di diventare una psicoterapeuta. Da circa 4 anni ho una borsa di ricerca presso l'Ospedale Mangiagalli dove lavoro con i bambini pretermine (che sono esserini piccolissimi, che hanno dovuto fin da subito entrare in contatto con la parte “crudele” della vita). Da Marzo 2009, infine, faccio ufficialmente parte del Gruppo della Trasgressione.

Ho iniziato a frequentare il Gruppo dopo la laurea come tirocinio obbligatorio, indispensabile per sostenere l'esame di stato ed iscrivermi all'Albo degli Psicologi. Per me è stata un'esperienza dal bilancio decisamente positivo perché ha avuto un ruolo determinante nella direzione che ho scelto di imprimere alla mia vita professionale. Vedendo il modo in cui il Dott. Aparo utilizzava gli strumenti di lavoro a disposizione di noi psicologi/psicoterapeuti, ho capito che nel mio lavoro avrei voluto fare qualcosa di simile: non applicare aridamente tecniche e teorie imparate a memoria sui banchi di scuola, ma adattare quelle tecniche e quelle teorie alle realtà che di volta in volta ci troviamo davanti. Per noi psicologi, che lavoriamo con le persone, è importante riuscire a trovare in ogni istante il giusto equilibrio tra tecnica e motivazione, teoria e partecipazione.

Certo, ad onor del vero, come spesso amano ricordare i detenuti, dobbiamo ammettere che accanto alla professionalità del Dott. Aparo è stato necessario sopportare anche il suo caratteraccio scorbutico e poco incline ai convenevoli. Fortunatamente frequentando noi studentesse ed ex-studentesse di psicologia, giurisprudenza e filosofia, anche il Dott. Aparo ha imparato ad essere un po' più civile e garbato. Ci sarebbe ancora tanto lavoro da fare, ma a questo punto presumo che ci toccherà accontentarci di tenercelo così com'è, comprensivo di tutti i suoi difetti!

Da tirocinante frequentavo il Gruppo quasi ogni giorno, dentro e fuori le carceri, dentro e fuori le scuole, dentro e fuori le vite delle persone. Sono stati mesi intensi: se dovessi trovare delle parole per descriverli direi che sono stati “faticosi” e “magici”. “Faticosi” perché la realtà del carcere (umanamente e burocraticamente parlando) è oggettivamente difficile, esasperante, crudele e talvolta spietata. Ma anche “magici”, perché è strano come in un posto così avverso, sia comunque possibile creare e mantenere delle condizioni che rendano possibile la cultura e la crescita delle persone.

Certo la crescita e la cultura non si trovano solo al Gruppo della Trasgressione: perché allora scegliere di restare in questo luogo nonostante tutte le belle esperienze che si fanno altrove? Perché restarvi gratuitamente pur nella convinzione che non si tratta di volontariato? Il Gruppo infatti non è un posto dove si ha l'obiettivo di “aiutare” i detenuti, ma è piuttosto un laboratorio culturale che ha l'obiettivo di riflettere sulle condizioni utili alle persone per diventare sempre più se stesse. Il fatto che successivamente tali riflessioni e condizioni aiutino anche le persone, detenute e non, ad evolvere, è un effetto secondario, anche se estremamente importante, perché testimonia l'utilità del lavoro intorno al nostro tavolo e perché in questo modo l'attività del Gruppo adempie a quanto indicato nell'articolo 27 della Costituzione italiana, ovvero che la pena deve tendere al recupero del condannato.

Il motivo per cui le persone restano al Gruppo, una volta soddisfatto il proprio tornaconto personale (tesi, tirocinio, ecc.), non mi è ancora del tutto chiaro. Personalmente credo che al Gruppo, più che altrove, nascano domande e pensieri su tematiche importanti della vita, generalmente non sufficientemente trattate altrove, perché di solito non c'è tempo per questo genere di cose.

Probabilmente molto dipende anche dal fatto che ogni cosa al Gruppo, anche un quadro di Caravaggio che a scuola sembrava materia di studio tanto inutile e noiosa, assume una veste nuova, originale, stuzzicante, creativa e sostanzialmente vitale. Ci si allena a guardare la cose da nuovi punti di vista e a fare collegamenti tra ambiti spesso considerati incompatibili. Questo grazie anche alla presenza degli esperti, che hanno mantenuto un legame con il Gruppo, e che ci aiutano ad allargare la nostra conoscenza in ambiti culturali specifici, come quello della storia, dell'arte, della letteratura, della giurisprudenza, della psicologia, dandoci di volta in volta nuovo materiale su cui lavorare.

Sottolineo questo punto perché l'aspetto della cultura è fondamentale per me, tanto quanto il contributo apportato dai detenuti in termini di originalità e umanità nell'affrontare queste tematiche. Sarebbero innumerevoli le cose positive da dire sul Gruppo, ma è forse più utile spendere il mio contributo per riflettere sul mio percorso al Gruppo.

Quando ci sono arrivata ero sicuramente molto triste. Il mio passato difficoltoso pesava molto sul presente e non lasciava molto spazio per pensare al futuro. Al Gruppo, attraverso un lavoro su me stessa (che sta proseguendo tutt'oggi sia al Gruppo che altrove) e attraverso il confronto con gli altri, detenuti e non, ho ritrovato la speranze e le energie per ricominciare a camminare verso il domani, per coltivare quelle risorse e quelle potenzialità che possono darmi un'opportunità, laddove la rassegnazione, i rimpianti e il rancore per quello che non ho mai avuto, non mi avrebbero portato da nessuna parte.

Vorrei concludere sottolineando che l'entusiasmo e la gioia di lavorare insieme intorno al tavolo del Gruppo non cancellano la durezza della realtà, di cui siamo tutti consapevoli, tanto noi esterni quanto i detenuti che hanno frequentato il Gruppo per un tempo sufficiente a maturare il desiderio di prendere definitivamente le distanze dalla propria vecchia e selvaggia vita. L'impegno che i detenuti mettono nel crescere, nel cambiare e nel “rieducarsi” non evita loro, una volta usciti, di fare i conti con la propria fedina penale e con le difficoltà che tutto questo comporta, compreso il rischio di recidive, a discapito dell'intera società.

Allo stesso modo, il mio impegno e la mia determinazione a voler raggiungere i miei obiettivi non sono bastati a evitarmi che oggi il mio contratto di lavoro stia per finire, di fare nuovamente i conti con le ristrettezze economiche e con la difficile decisione di dover lasciare la mia scuola di psicoterapia, rinunciando al mio obiettivo di diventare psicoterapeuta, percorso troppo lungo e costoso per chi, come me, e come tanti altri ragazzi, non ha una famiglia alle spalle.

Di certo non posso lamentarmi, dato che ho avuto la fortuna di trovare sul mio percorso persone che di volta in volta, pur non avendo nessun obbligo nei miei confronti, mi hanno dato una mano ad andare avanti nelle avversità, permettendomi di arrivare fino a dove sono arrivata oggi, offrendomi il loro aiuto in cambio del mio impegno, dei miei contributi e della mia dedizione: monete di scambio ancora alla portata di tutti.

Oggi però, che non sono più la stessa ragazza di ieri, e che accanto alla realizzazione professionale inizia a nascere il desiderio di avere una casa e una famiglia, ho maturato la convinzione che, ad un certo punto della propria vita, ciascuno, indipendentemente dalla fortuna o dalla sfortuna di aver avuto una buona famiglia alle spalle, vorrebbe avere la possibilità di essere “adulto”, ovvero di potersi guadagnare con il proprio lavoro l'autonomia, la stabilità e gli obiettivi che danno senso alla vita.

Oggi al Gruppo della Trasgressione stiamo lavorando affinché questo luogo, già così importante dal punto di vista dell'evoluzione personale e della mobilitazione delle proprie risorse e potenzialità, possa diventare anche un luogo effettivo di lavoro per detenuti e studenti che, una volta cresciuti, chiedono di poter assumere un ruolo attivo e produttivo nella società, vivendo quelle “responsabilità” verso il prossimo che sanciscono il raggiungimento di una posizione più matura all'interno del proprio percorso di crescita, così come previsto dalla nostra Costituzione “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (art. 4).

Nella speranza di poterla avere intorno al nostro tavolo, per esaminare la possibilità di concordare obiettivi di lavoro comuni, la saluto e la ringrazio per l'ascolto.

Cordialmente,

Tiziana Pozzetti.