La tensione alla rieducazione

Francesco Cajani

27-06-2007  

Caro dott. Aparo, dopo che per molti anni ha insistito affinché fossero i magistrati ad entrare in carcere per  conoscere i membri del Gruppo della Trasgressione ed essere direttamente coinvolti nelle tematiche di volta in volta affrontate, eccola oggi finalmente – per così dire – a casa nostra.

Il Tribunale, a ben vedere, da sempre si presta ad essere considerato metafora dell’amministrazione del bene e del male (a seconda dei punti di vista degli attori coinvolti in questa umana rappresentazione della Giustizia) e quindi, ritengo, migliore luogo di incontro non poteva essere scelto per questa tavola rotonda.

Ricordo ancora con piacere il nostro incontro (preliminare ai lavori di oggi) a San Vittore assieme a Carlo Casoli sul tema del Male “fra cronaca ed aule di Tribunale”, in relazione al quale – anche sollecitato dalle considerazioni che lei poneva alla fine dei nostri interventi e che credo riproporrà oggi – mi sento nuovamente di sottolineare quella indicazione costituzionale della “tensione alla rieducazione” alla quale la pena dovrebbe assolvere.

Da giovane pubblico ministero, all’interno della Magistratura mi pare cogliere due diversi approcci alla questione: da una parte, quello che ritiene di esaurire l’indicazione dell’art. 27, comma 3 della Costituzione nell’applicare la sanzione che si ricava dalla Legge. E tuttavia, dal momento che la stessa Costituzione afferma, al comma precedente, che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”, trova, per così dire, una sua giustificazione giuridica il punto da lei ben sottolineato in quella occasione, quando provocatoriamente chiedeva conto - in uno Stato che ancora oggi non riesce a trovare efficaci soluzioni in punto di celere celebrazione dei procedimenti penali - del Male che una simile situazione nei fatti spesso comporta: quella del “detenuto in attesa di giudizio” e, potrei aggiungere io, “in attesa di attenzione educativa”.

Anche per tale motivo, sconfessata quell’illusione di poter raccogliere la notizia di reato il lunedì, chiudere le indagini il martedì e ottenere una sentenza (qualunque essa sia, di condanna o assoluzione) il mercoledì della stessa settimana, credo fortemente che debba essere seriamente preso in considerazione un diverso approccio, che invece sollecita nella Magistratura una maggiore visione d’insieme della questione punitiva (o, più in generale, di amministrazione della giustizia) per non accentuare quella cesura (di fatto esistente in molte realtà italiane) tra applicazione ed esecuzione della pena (la prima demandata al magistrato “del dibattimento”, la seconda sostanzialmente al magistrato “di sorveglianza”). Facendoci tutti (a partire dal Pubblico Ministero) maggiormente carico, fin dalla loro prima comparsa nei corridoi di questo Palazzo, dei soggetti coinvolti e tra essi inevitabilmente contrapposti (indagati e persone offese).

Per non aggiungere, anche se spesso inconsapevolmente, Male a Male.

Francesco Cajani

Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano.