La serranda

Enzo Martino

7-11-2006  

Quante sere passate a fantasticare sul nostro futuro da grandi. Tu mi dicevi che volevi sposarti e diventare un elettricista con tanto di ditta. Io volevo essere un meccanico di moto e non intendevo sposarmi. Mi piaceva elaborare i motori, desideravo comprare un’officina di moto, mi ritenevo uno abbastanza bravo.

Quei sogni tanto attesi, che sembravano così facili da realizzare, ci confortavano mentre, seduti sul muretto vicino al ponte della superstrada, vedevamo le auto sfrecciare veloci. Erano i sogni di due ragazzi cresciuti troppo velocemente, ambizioni e sogni di primavera, come la nostra età.

Tu eri innamorato pazzo di una ragazza, mentre io l’innamoramento l’avevo spento dentro di me, mi portavo ancora dentro il bruciore di un amore mancato. Amori di primavera, questi erano.

Sognavo la mia officina, con tutte le attrezzature al loro posto, volevo vivere dentro i motori, li capivo come un dottore capisce il suo paziente quando sta male. Intanto il tempo trascorreva lavorando e, come tutti, i fine settimana ci recavamo a mangiare la pizza, sempre senza soldi in tasca, ma eravamo contenti lo stesso.

Le nostre aspirazioni non erano i soldi, ma possedere qualcosa di nostro, per me era l’officina. Avevo individuato anche il posto dove aprire la mia officina, un bel posto, era una via semicentrale della città. Ogni mattina mentre passavo, guardavo quella serranda chiusa, la sentivo come se fosse stata già la mia serranda. Ma come tutti i giovani, non avevo fatto i conti con il denaro e le complicazioni che ci sono quando non ne possiedi. Per aprire l’officina servivano meno di dieci milioni di lire. Io quei soldi non li avevo e purtroppo neanche la mia famiglia. Sapevo che un mio amico quei soldi li aveva e pertanto poteva prestarmeli, ovviamente li avrei restituiti appena possibile.

Ma quel mio amico non si fidò, forse era anche un poco geloso; sapeva in cuor suo che con la mia capacità avevo la possibilità di farcela. Quel rifiuto mi fece precipitare nella sfiducia generalizzata verso gli altri. Così decisi di partire all’avventura: la strada sregolata che ho seguito portava dritto al carcere e lì sono giunto.

I sogni fatti seduto sul muretto li ho abortiti, forse perché non ho avuto il vero senso della responsabilità o perché la mia superbia e la rabbia mi hanno fatto volgere lo sguardo verso obiettivi più ambiziosi di quelli che erano alla mia portata.

La primavera è rimasta tale nel tempo, i sogni cerco di recuperarli e da essi trarre qualcosa di buono per il futuro mio e dei miei figli. Oggi ho due figli e, quando ascolto i loro sogni, li incentivo a coltivarli.

Oggi credo che un genitore debba seguire i sogni dei figli fino a quando siano diventati forti abbastanza da non correre il rischio di essere svenduti per la fretta di acquistare la propria serranda.

 

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