Gli occhi dei girasoli


Eric Bozzato

  19-07-2004

Un'immagine ricorrente che ho nella testa è quella di un cane, non è di razza, non è borghese, non è pulito o tenuto bene ma è amato, il pelo ribelle va in tutte le direzioni, lui al contrario non va in nessuna direzione, è fermo e mi guarda, è simpatico, mi guarda e mentre io penso a cosa scegliere per la mia vita, lui si accuccia nell’erba e, quando meno me lo aspetto, mi fissa negli occhi e cosa fa? Mi fa godere, ecco cosa fa, godo perché il cane ride. Eh!? E’ proprio un grande, senza farsi accorgere da nessuno ride. In quel momento io e lui siamo lì, è lui il mio eroe, è lui la mia risposta a qualsiasi domanda che potrei mai inventarmi.

Poi c’è un bambino in una foto in bianco e nero, un panno di spugna gli copre la regione intima, ha una bandana blu legata sulla testa, la foto è in bianco e nero ma la bandana è blu e nella foto risalta; è in braccio alla madre, una donna particolare, labbra carnose, qualche tratto orientale, lo sguardo ribelle, è seduta sul gradino di una baita fatta di pietre, col suo fagottone fra le mani, il bambino piange, lei lo stringe, lo ama e si vede che ama la vita, è un’immagine stupenda!

 

 

E poi c’è lui, l’unico egregio personaggio venuto dalla luna, il mito, l’eccezionalità in persona, CICCIO TRAPASSO, il pazzo. Non è uno di quei pazzi comuni, lui è intelligente, ha scelto di fare il pazzo, gli allungo una sigaretta, la prende, mi guarda, poi guarda la sigaretta, non l’accende, la mette in bocca spenta, poi si gira e inizia a correre, da lontano oramai gli urlo: “Oh, ma sei pazzo?” Si ferma, ci pensa un attimo e poi mi grida: “Boh?! Forse, non so.” Poi scappa di nuovo urlando: “Corri, corri ragazzo e fottitene dell’orgoglio, ne ha rovinato più lui del petrolio.” Osservandolo sparire nel tramonto di un campo di girasoli, mi inginocchio e lo venero, lui è sicuramente un’entità superiore, non c’è dubbio.

 

da Zefa

 

Nello stesso campo c’è un uomo, sta zappando, i girasoli lo guardano, è una figura amica, arriva una macchina, un macchinone dalla strada sterrata, è Enzo, si ferma, l’anziano è suo padre, scende dall’auto, zappa col padre, poi il sudore, la schiena gli duole, due parole, una sbuffata e riparte col macchinone, nel campo una scritta fatta da un trattore: “Gli anziani sono un patrimonio, ascoltateli giovani perché molta è la saggezza che li accompagna.” Enzo non vede la scritta e nemmeno la strada, c’è troppa polvere.

 

 

E infine l’ultima immagine, c’è una donna su d’età, non la vedo bene in viso, forse è mia nonna o comunque le assomiglia, è vestita in pelle nera e ha attorno al collo un collare di borchie appuntite, tiene al guinzaglio un cane, uno Yorkshire borghesissimo, il cane vive succube degli umori della donna, ha quasi paura a muoversi, ha vissuto tutta la sua esistenza in attesa della morte della donna, della libertà. Un urlo fastidioso, è la donna che urla al cane, il cane la guarda, tutta la deferenza mostrata fino a quel momento sembra svanire per incanto. Guarda con diniego la propria padrona, come per non riconoscerla più tale, si gira repentinamente col fare di chi ormai ha già deciso e, dopo una sottile smorfia di dolore seguita da un’altra di pura e gratificante soddisfazione e volgendo quel piccolo sederino peloso verso l’alto, emette il più irrispettoso getto di gas maleodorante che la storia ricordi. La donna sviene; il cagnetto si rotola nel fango, felice, sporco, vivo!

 

 

Il cane in questione è l’ultimo dei miti che ho voluto osannare in questo scritto, il cavaliere errante, vendicatore di torti, inquieto sogno delle menti ribelli, aspirazione degli uomini, ultimo e più grande esemplare di quella stirpe che ha reso grande l’umanità con gesta colossali e disinteressate, cane nonché guerriero venuto dal bene.

La vita qui dentro è una palla, ma i condottieri della mia fantasia mi hanno vendicato ridando giusto equilibrio ad un destino troppo serio e severo!