Scambio epistolare fra Genitori e Figli

   Giorgio e Livia Nascimben

25-06-2003  
Dalla fine del prossimo mese di luglio andrò in pensione dopo 43 anni e 11 mesi di lavoro. Secondo alcuni sarò dunque “libero” dalla schiavitù del lavoro.

Io non credo che il lavoro nobiliti l’uomo, ma neppure credo che il lavoro sia una schiavitù. Al contrario, si tratta di una attività necessaria che qualche volta può essere anche piacevole, se portata avanti con lo spirito giusto. Occorre soltanto essere fortunati e fare qualcosa di possibilmente gratificante. Peccato che pochi siano i fortunati e che molti debbano accontentarsi di quello che passa il mercato, anche se, in qualsiasi situazione, è sempre possibile costruirsi una nicchia di autonomia creativa e dunque di soddisfazione.

Ma non è questo il punto e neppure come utilizzerò il maggior tempo che avrò a disposizione: ci penserò più avanti!

Il punto è che ci sarà una mia maggiore presenza in famiglia e questa presenza, inevitabilmente, ruberà spazio agli altri tre componenti e gli equilibri cui la famiglia è pervenuta negli anni in cui trascorrevo buona parte del tempo in ufficio dovranno essere ricostruiti su basi diverse e con qualche probabile sofferenza.

Credo che il ruolo avuto in ufficio, l’abitudine all’esercizio del comando, ad essere ascoltati e ubbiditi, potrebbero indurre chiunque abbia esercitato funzioni direttive sul lavoro ad applicare e a ricercare tali atteggiamenti anche in famiglia.

Il pensionamento del padre, o il suo ritorno da una lunga assenza, possono provocare delle forti scosse negli equilibri familiari, nelle abitudini, nei modelli organizzativi, nei ruoli consolidati; la necessità di riorganizzare tempi e spazi, se non si riesce a comprendere le ragioni che provocano malesseri e malumori, può comportare così molte crisi di identità, sensazioni di espropriazione e di invasione, qualche volta anche con esiti nefasti per i rapporti interpersonali e il benessere psicologico di chi è emotivamente più debole.

La “libertà” è una strana bestia, se libera uno e imprigiona molti!

Ho sempre guardato con un certo timore l’arrivo della pensione di mio padre, in parte perché ridefinire gli equilibri interni alla famiglia, contrattare e disegnare nuovamente gli spazi costa la fatica di mettersi in discussione, di far fronte a contrasti e forse anche ad antiche questioni rimaste irrisolte che potrebbero riemergere.

Inevitabilmente questo aggiungerà una quota di tensione in ognuno di noi e nei nostri rapporti interpersonali.

La sua è una tappa che impone a me come figlia di uscire dalla elazione e di mettermi in relazione (si è accorto mio padre che io so dire cose così difficili?), di congedare l’illusione della bambina che può avere quello che desidera senza sforzo; il suo pensionamento mi dice che è arrivato il tempo di assumermi le responsabilità di ciò che faccio, dico e decido, di coltivare i miei sogni.

Ma questo, che pure io desidero, è in conflitto con quella parte di me che sogna ancora un tempo lontano e che teme per il futuro qualcosa di cui non so dire.

Mi piacerebbe interpretare la nuova situazione che vivremo con mio padre in pensione come uno spazio da arredare, dove i diversi gusti degli arredatori (ammesso che si abbia avuto il tempo di maturare ciascuno i propri…) dovranno innanzitutto essere espressi e, in secondo luogo, mediati con quelli degli altri.

Occorrerà dunque individuare e costruire insieme altre regole di un gioco nel quale i ruoli sono diversi, ma con uguale diritto di essere riconosciuti.

Ovviamente, se riusciremo a costruire tali regole in modo che io possa avere tutto quello che mi serve senza nemmeno chiederlo, meglio!

Giorgio Nascimben

Livia Nascimben