Dodici anni

Filippo di Giovine

13-12-2006

Sono passati dodici anni da quando le porte del carcere si sono chiuse alle mie spalle. Sono i dodici anni che ha mia figlia.

In tutto questo tempo ho pensato spesso all’attesa della sua nascita, al momento in cui ho tagliato il cordone ombelicale della mia bimba, al primo abbraccio. Ma ho pensato anche a quanto, con il primo figlio, di cinque anni più grande, io sia stato sempre freddo e distaccato.

Oggi provo un profondo dolore quando riconosco di non essere stato capace di assaporare l’affetto dei miei figli e della mia famiglia quando potevo. Quando non si può più, viene il momento in cui si desidera ciò che già si aveva.

Oggi rimpiango di non avere visto i miei figli crescere: non averli visti gattonare, non averli visti mettere il primo dentino, dire la prima parola, imparare a leggere, a scrivere, essere loro vicino nei piccoli e grandi problemi e nelle loro conquiste.

Oggi li trovo adulti e so di avere perso i momenti più belli della loro vita. So di non potere recuperare quel tempo perduto, ma se non potrò essere più un padre, mi resta almeno la speranza di diventare per loro un amico sicuro.

Oggi vorrei ringraziare chi ha cresciuto i miei figli con il senso della legalità, dell’educazione e del rispetto e chiedere perdono per non essere stato presente. E’ tanto che non li vedo e mi mancano tantissimo; è come camminare ogni giorno senza una gamba.

Voglio essere capace di fare loro capire che in tutti questi anni i loro volti, i pochi preziosi ricordi con loro, mi hanno dato la forza di avere il coraggio di sperare. Ed ora spero di poterli abbracciare presto e di essere, finalmente, presente nelle loro vite.

Il passato non si può recuperare, il presente si può vivere per costruire il futuro.