I rami del ciliegio

Giovanni Minissale

15-11-2003

Riconosco di essere stato un tipo vivace e un po’ discolo fin da bambino, ma secondo me questo non giustifica quanto ho dovuto subire da mio padre, che ricordo come padre-padrone. Mi sembra che il contrasto fosse dovuto alla mancanza di dialogo, di comunicazione tra di noi, due generazioni che a quei tempi, dove la severità era la regola, difficilmente si potevano capire; avevamo un modo differente di concepire quel che il presente offriva.

Non ricordo un pizzico d’affetto o comprensione per i miei piccoli problemi d’adolescente. L’unica dimostrazione che ricordo è la sua irritazione ad ogni mia difesa, compensata a suon di botte. Ricordo ancora come fosse di ieri un episodio: dopo aver preso tante botte per una bugia d’un vicino di casa, il quale raccontò a mio padre d’aver visto me e i miei amici rubare le ciliegie dall’albero della sua campagna spezzandone i rami, decisi di andar via da casa, lontano da chi non sapeva far altro che scambiare le carezze con pesantissimi schiaffi.

Avevo perso ogni tipo di rispetto e fiducia nella figura di mio padre. Avevo solo quattordici anni, ma non ho voluto più vederlo né parlare con lui. Credo d’aver provato odio per la sua persona, comunque contenuto, dal momento che ciò è sfociato nella trasgressione in cui sono incappato, dedicandomi a furti, droga e rapine, motivo per cui ora sono detenuto.

Durante questo periodo di detenzione ho imparato a capire i veri valori della vita e anche a perdonare. Infatti, oggi, mio padre frequenta saltuariamente casa mia ed è di sostegno alla mia famiglia.

Credo che anche mio padre riconosca d’aver sbagliato nei miei confronti e per questo abbia preso coscienza delle sue responsabilità e dei suoi doveri verso di me, cosa che anch’io, nella mia posizione di padre, sto avendo verso mia figlia quattordicenne, alla quale desidero dare un futuro migliore, facendo tesoro delle mie esperienze negative e dalle quali ho preso nette distanze.