Saltare il bancone

Ivano Longo

21-06-2003  

Nell’ultimo gruppo, dopo aver ascoltato lo scritto letto da Silvia, “Desirèe”, ho provato una sensazione di pesantezza, mi sentivo soffocare; ascoltare quegli ultimi quattro paragrafi mi ha fatto stare male.

Non avevo mai pensato che io potessi, essendo stato un rapinatore, far provare quelle emozioni, quel dolore, quell’ingiustizia e quell’impotenza, alle persone che ho coinvolto nelle rapine che ho commesso.

Il gruppo l’ho sentito pesante, quelle emozioni così descritte mi hanno tagliato lo stomaco.
L’ Emilia un giorno ci ha chiesto cosa sentivamo prima e dopo una rapina.

Beh! Io ho sempre evitato di “sentire”, perché so che se avessi ascoltato, se mi fossi fermato a guardare i volti delle persone che avevo intorno, forse mi sarei fermato.

Ho sempre cercato, anche se ne avevo un contatto, di non coinvolgermi più di tanto, il mio compito era quello di entrare in un posto, saltare il bancone, prendere in ostaggio il direttore o l’impiegato di questa o di quella banca, tenere sottocontrollo gli impiegati e i clienti, prendere i soldi dalle casse ed uscire.

Era una situazione molto veloce la mia, cercavo di pensare solo a quello che dovevo fare, farlo bene e velocemente, poi uscire e tornare a casa vivo e con i soldi.

Era quello l’importante, come era importante non toccare nessuno, non togliere gli oggetti privati come orologi d’oro o cellulari, sapevo che se avessi tolto le cose personali, qualcuno poteva reagire, ed io ero da solo.

Sì, avevo con me una pistola, ma questa mi serviva esclusivamente per far fare agli altri tutto quello che volevo, e per potermi difendere se qualcosa fosse andato storto.

Non volevo la vita di qualcuno, volevo solo i soldi.

Ma nell’ultimo gruppo ho ascoltato un pezzetto di quello che non ho mai voluto sentire e mi sono trovato travolto dal senso di colpa.