La morte del cigno

Redazione

Incontro al carcere di Opera

19-10-2011

Dopo una lunga pausa, oggi riaprono i due gruppi di Opera.

Special guests:
- Mattino: Presidente della Provincia, Guido Podestà
- Pomeriggio: Console italiano negli Usa, Angela Della Costanza Turner

 

Gruppo del pomeriggio

Il gruppo inizia con le rimostranze di una buona metà dei detenuti presenti per la prolungata e inattesa sospensione degli incontri, durata dagli inizi di luglio a oggi.

Aparo si scusa e dice che darà spiegazioini più avanti, presenta l'ospite, riferisce rapidamente del fermento al gruppo per la nascita di Voci dal ponte.

Poi va al progetto su La morte del cigno e ne mette in luce alcuni punti:

  1. un cigno che non vuole morire
  2. un uomo che non vuole uscire di scena
  3. il narcisismo e le sue due facce: Vitalità/Arroganza
  4. il bisogno dell'essere umano di essere riconosciuto e i sistemi cui si ricorre per ottenere riconoscimento
  5. il riconoscimento negato dalla guida e/o la scarsa credibilità della guida rendono il giovane più fragile di fronte alle lusinghe del seduttore e del potere

 

Angela Della Costanza: Il percorso che porta alla costruzione passa attraverso il dolore. Spesso il dolore è una motivazione per tollerare la fatica. Per me lo è stato. Io rivedo nel ballerino la condizione dell'uomo in generale: è come se vivessimo tutti su un palcoscenico, la parte che recitiamo è la nostra vita. Trovo che sia umano e positivo che si cerchi di viverla fino in fondo e il più possibile. Nel gesto nell'ostinazione del ballerino a non arrendersi vedo uno slancio di vitalità positivo.

Giuseppe Liuni: secondo me la morte del cigno rappresenta la morte dell'egoismo. Io riconosco nel ballerino il mio egoismo e la mia fame di potere.

Antonio Catena: L'emarginato aspetta il momento della rivalsa. Quando arriva l'occasione, invece di mettere a frutto le proprie doti e di tentare di ottenerne il riconoscimento, abusa del potere che gli dà il palcoscenico. La sensazione di potere porta a dimenticare il nostro bisogno di ottenere il riconoscimento degli altri. Nella mia vita ho sempre vissuto il dolore come un’ingiustizia, solo adesso riesco a viverlo come una condizione..

Angela Della Costanza: che cosa ti ha permesso di passare dall’una all’altra condizione?

Antonio Catena: non conosco il momento esatto in cui c’è stato questo passaggio, so che è stata un’evoluzione graduale e che il primo grande passo è stato nel poter esprimere il dolore. Prima non conoscevo il mio dolore, non sapevo nemmeno di averlo dentro.

Soffrivo perché avevo bisogno del riconoscimento di mio padre, un riconoscimento che però pretendevo da lui per il solo fatto di essere suo figlio. Così non avevo spazio per sentire altri sentimenti che la rabbia; rimanevo avvitato su me stesso per quello che lui non mi dava e perché non sapevo inventarmi un modo diverso per chiedergli riconoscimento e affetto. In sintesi facevo il cigno che non vuole morire.

Colui che ha vissuto il mancato riconoscimento come un'ingiustizia prova dolore. Inseguendo il potere, crede di poter appagare il suo desiderio di riscatto. Ma in realtà fa crescere il dolore cattivo. Solo dopo il lavoro su se stessi si comincia a provare il dolore come compagna, quello che fa crescere.

Aparo: Credo sia utile chiamare il "dolore cattivo" di cui parla Antonio "rancore". Antonio diceva prima che il riconoscimento della guida "nutre" soprattutto quando ci viene dato in risposta all’impegno personale. La presenza del rancore ostacola l'impegno e la relazione con chi dovrebbe riconoscere il nostro impegno. Penso al rancore come a una zavorra che rende difficile il percorso evolutivo personale e ostacola il riconoscimento delle alleanze utili per coltivare progetti collettivi.

Antonio Tango: la morte del cigno rappresenta il momento in cui la persona deve fare i conti con se stessa e accettarsi per quello che è. La brama di potere forse dipende dall'incapacità di riconoscere le proprie qualità e i propri limiti. Ognuno di noi può stare in piedi solo grazie alla conferma degli altri.

Ma quando si giunge al punto in cui sono giunto, però, cosa mi riconoscono gli altri? Mi riconoscono il potere di incutere timore, di essere il capo della banda, di avere facoltà di decidere se picchiare o no qualcuno. La morte del cigno può essere tollerata solo quando si è a contatto con se stessi. Ma si può arrivare ad essere in contatto con se stessi solo costruendo insieme gli altri.

Aparo: c’è un cigno che non vuole morire e c’è un uomo che non vuole uscire di scena. Quando il riconoscimento non giunge dalla guida lo si cerca nella banda, nei reati, o nel facile appagamento della droga. L’uomo ha bisogno di sentirsi riconosciuto dalle proprie guide (genitori, insegnanti); quando si teme che questo riconoscimento non possa giungere mai può accadere che il bisogno naturale di essere riconosciuti da guide autorevoli e disponibili scivoli in una insaziabile fame di potere.