Il processo di Norimberga

Gio Mentasti

09-12-2005  

Mi viene in mente il processo di Norimberga.

A quel processo si è dovuto inventare una legislazione e delle tipologie di crimini (contro l'umanità ad esempio). Un'altra sfida in quel processo è stata riuscire a perseguire i colpevoli che si deresponsabilizzavano dai reati commessi; dichiarando "di aver eseguito gli ordini" e sentendosi quindi patrioti legittimati dalle regole e dalla direzione del partito nazista, a cui declinavano il comando delle loro azioni. Hanno cercato di fuggire dalla responsabilità delle loro azioni togliendosi dal ruolo di autori.

Molti sono sopravvissuti e anche nel benessere; in Sudamerica, in Italia, anche in Germania.

In questo processo lo sforzo maggiore è stato quello di non abbassarsi al livello degli imputati: cercando vie democratiche e mantenendo l'umanità degli imputati al di sopra di ogni desiderio di vendetta. Questi imputati si sono quindi sentiti trattati come uomini e si sono sentiti garantiti in alcuni valori (come l'equità davanti alla Legge, la argomentazione della difesa, la produzione pubblica di prove) come cittadini e come militari.

Loro non hanno fatto lo stesso con le persone che hanno perseguitato (ebrei, zingari, omosessuali, dissidenti politici) creando negli anni ‘30 le condizioni per cui gli venisse delegittimata l'esistenza, equiparandola ad esseri inferiori e a cose.

Una delle cose più spaventose di "se questo un uomo" non è tanto il racconto delle torture e delle deprivazioni, ma (fin dal titolo) lo svuotamento di senso e di rispetto della condizione di essere umano. In questo modo era più facile sterminarli anche fisicamente. Che differenza fa, a quel punto, se li uccidi e se li tratti come schiavi?

Togliendo lo status di uomo, la morale delle azioni che senti di poter compiere sull’altro si può ridisegnare a piacimento.

I gerarchi nazisti e in buona parte tutta la popolazione tedesca hanno gradualmente condotto alcune persone a non sentirsi portatori di diritti, di emozioni, pensieri, idee.

Gli oggetti e le ricchezze dei deportati nei campi di concentramento sono state tolte con leggerezza inumana: non era nemmeno una appropriazione indebita perché non avevano nemmeno il diritto di possedere qualcosa.

Invece ai persecutori non è stata tolta l'umanità e il diritto a esprimerla.

Questa è secondo me una delle cause più profonde del fatto che i carnefici sono invecchiati più o meno serenamente, più o meno con consapevolezza di ciò che hanno fatto; mentre le vittime hanno dovuto lottare per tornare a considerarsi uomini vivi. Per molti è stato impossibile fra le macerie, le difficoltà e la povertà lasciata dalla guerra. Molti però si sono suicidati decenni dopo.

Il senso di umanità è più problematico da riacquistare, da rielaborare, rispetto a una condanna che ti considera colpevole, ma uomo.