Il gioco d'azzardo, droga che uccide
Martedì 26 Febbraio 2002

Videogiochi, lotto, carte, scommesse sui cavalli...: una malattia per trecentomila italiani

di Letizia Cini

FIRENZE – Uccide, ti toglie la vita. Sono 300 mila gli italiani schiavi di bingo, gratta e vinci, cavalli, carte, lotto e videopoker. Questa la stima del professor Stefano Pallanti, direttore dell'Istituto di Neuroscienze di Firenze, che al Congresso della Società italiana di psicopatologia ha presentato uno studio sui «malati del gioco».


Professore, ma davvero il gioco può diventare una malattia da psichiatra?
«Da oltre vent'anni il gioco d'azzardo è considerato come patologia nelle classificazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità, ma oggi da patologia di pochi sta diventando fenomeno di massa, anche in Italia e soprattutto tra i giovani».


È possibile dire quante persone siano affette da questa dipendenza?

«Da una ricerca condotta dall'Università di Firenze, la prima “sul campo” in Italia, risulta che nella popolazione giovanile che frequenta le discoteche ci sarebbero circa il 5% di giocatori già definibili come patologici».


Ma cosa distingue il malato di gioco da chi ha la passione per il gioco?
«La differenza può essere descritta a tre livelli: sociale, legale e clinico. Quando il gioco diventa una malattia è distruttivo a livello delle relazioni interpersonali, sociali e lavorative, il soggetto vede la sua vita peggiorare ma non è capace di fare niente per fermarsi e così inizia a mentire ad amici e familiari, a perdere giornate di lavoro e spesso finisce abbandonato ed emarginato. Poi iniziano i guai legali a causa dei debiti, spesso finisce per imbattersi in strozzini oppure diventa "spacciatore" di gioco nero. Ma le differenze maggiori sono a livello soggettivo: durante il giuoco il paziente cambia stato di coscienza fino da una vera trance; non sa più dov'è né, talvolta, chi è. Non si accorge del tempo che passa. Trascorre quindi sempre più tempo in preda al giuoco, che diventa anche l'unico rimedio di ansia e depressione».


Una specie di droga?
«Infatti; e se qualcosa o qualcuno tentano di impedire al soggetto di avere la sua dose quotidiana di gioco, compaiono veri e propri sintomi di astinenza: irritabilità, depressione, aggressività, tremori crisi vegetative. Certe volte l'aggressività, si tratta di persone estremamente impulsive, viene sfogata sugli altri, oppure con atti autolesivi. Fino ad arrivare al suicidio».


Quali novità esistono riguardo alla cura?
«È necessario cambiare lo stile di vita, generalmente poco igienico, ed è utile il supporto dei gruppi sul tipo degli alcolisti anonimi. Ci sono poi i farmaci. Sino ad oggi i tipi erano due: per i soggetti più ossessionati e compulsivi alcuni serotoninergici, per i veri e propri tossicodipendenti da giuoco il Naltrexone, usato anche per i dipendenti da oppiacei. Dopo le ricerche condotte in collaborazione con la Mount Sinai School of Medicine di New York abbiamo proposto stabilizzanti dell'umore: litio e valproato, da tempo impiegati per la cura e prevenzione dei disturbi bipolari dell'umore e altri disturbi impulsivi».


Speranze in aumento allora per i malati di giuoco?
«E' difficile dirlo, perché a fronte dei progressi nella cura la propaganda a favore del giuoco aumenta di giorno in giorno. Così come le opportunità di giocare».


Ci spieghi meglio...
«Il gioco patologioco non è solo quello nei casinò, ma anche nelle tabaccherie con i videopoker, nelle sale Bingo e persino con i gratta e vinci. E' indispensabile una normativa che attribuisca più responsabilità a chi guadagna con il gioco e che imponga al distributore di impedire al giocatore patologico di rovinarsi come all'ubriaco di bere ancora. Ma siamo purtroppo ancora molto lontani da questa etica, poiché il giro di soldi è forte ed i guadagni, soprattutto da parte dello Stato, da capogiro».