LO PSICHIATRA
Venerdì 15 Marzo 2002

Il criminologo Bruno: non recita, in lei vivono due personalità

«Anna ha ucciso, Maria è innocente»

di Lucia Bellaspiga

Milano. C'è una domanda che non ci dà pace, un dubbio che ci tormenta ancor più del fatto che a uccidere Samuele sarebbe stata la sua stessa madre: come ha potuto Anna Maria Franzoni recitare per 45 giorni, sostenere la parte senza mai piegare le ginocchia sotto il peso del dolore, dichiarare senza cedimenti la sua innocenza? L'abbiamo fissata per ore il giorno del funerale, mentre seguiva come un automa la piccola bara bianca, le mani sempre allacciate a quelle del marito Stefano, l'amica psichiatra avvinghiata al suo fianco. Colpiva il suo sguardo fosco, ostinatamente a terra, mai, neanche un attimo, rivolto alla bara, ma volevamo leggerlo come disperazione. Solo un momento al cimitero Ada Satragni si era decisa ad aprire le braccia, per incitarla ad andare da Samuele, ancora esposto alla lunga processione di abbracci e benedizioni dei paesani: «Fatti forza, vai, vai», le sussurrava. Ma Anna Maria proprio non ce la faceva, schiacciata da un macigno più grande del mondo, e diceva no con la testa, no, no...
«Non è esatto dire che ha recitato - spiega Francesco Bruno, docente di Psicopatologia forense e Criminologia alla Sapienza di Roma -. L'omicidio deve essere attribuito a una metà della sua personalità, mentre l'altra metà non lo condivide. In persone così «divise» il problema esplode quando rimangono sole: è allora che spunta la parte perversa, mentre di fronte agli altri vive la personalità normale. In questi 45 giorni ha prevalso quest'ultima. Ricorda il film "Psycho"? Il bravo ragazzo, lavoratore, quando rientra in casa ed è solo diventa sua madre...

Può essere che invece non ricordi nulla?
No, non è possibile che abbia dimenticato. Per lei è come se l'avesse fatto un'altra persona: tra i due «io» che vivono in lei non c'è alcun contatto. Vede l'omicidio di Samuele dall'esterno, esattamente come noi. Così il suo comportamento è sempre stato incongruo; non è mai andata all'obitorio e solo una volta ha fatto ciò che ci si aspettava da lei: quando è svenuta alla vista del corpicino che dal giorno del delitto non aveva più rivisto. Nelle lettere che ha scritto recentemente al parroco e al sindaco parla di Samuele «angelo di Dio, che ci proteggerà tutti»: lo ha reso lei angelo, ma quando dice queste cose è sincera.

Anna Maria è una donna malata?
Una vera malattia psichiatrica si sarebbe palesata da tempo. Qui c'è un disturbo ben noto a noi psichiatri: «personalità multipla». Alla base potrebbero esserci problemi di rapporto con il marito, nel senso che per troppo tempo si è sentita sola, o forse l'idea inconscia che la nascita di Samuele aveva cambiato la loro vita, o qualche delirio ancora più profondo. Chissà. In ogni caso l'idea di «farlo angelo» può avere molte motivazioni, ma tutte hanno a che fare con una incapacità di gestire il rapporto con questo bambino. Il suo «sacrificio» avrebbe permesso la catarsi.

Uno shock, come l'arresto o il carcere, potrebbe riunire le sue due personalità e far sì che si renda conto di ciò che ha fatto?
È difficile, perché dopo il delitto spinte inconsce all'autodifesa rinforzano il delirio: la donna non vuole sapere ciò che ha fatto e per questo seppellisce la sua metà negativa, la cancella. Inoltre in questo caso ha influito molto l'ambiente che l'ha circondata, protettivo fino all'eccesso.

Può essere che nessuno in famiglia si fosse accorto di nulla in passato?
Sì, perché questi soggetti quando sono in compagnia sembrano perfetti. È da soli che cambiano, ad esempio la notte, quando in casa gli altri dormono. Penso a quella terribile notte che ha preceduto il delitto: l'angoscia, la paura, all'alba la telefonata alla guardia medica durante la crisi di panico... Stava somatizzando tutto.

Una notte di premeditazione, dunque?
La premeditazione durava da mesi, forse da anni. Chissà perché la sua metà negativa ha agito proprio quel mattino. Subito dopo la metà normale ha reagito come «doveva»: si è disperata, ha chiamato aiuto, ha gettato la colpa su qualcuno che negli 8 minuti della sua assenza da casa avrebbe fatto tutto.

Invece?
Invece io credo che abbia ucciso Samuele prima di accompagnare l'altro figlio allo scuolabus: altrimenti perché mandare in pieno inverno un bambino a giocare in giardino? Poi, come niente fosse, ha portato Davide alla fermata.

Ma i tempi non tornano: Samuele salì vivo sull'elicottero. Lo dicono i medici del 118.
Devono dirlo per coprire le loro responsabilità: da una parte avevano allertato i carabinieri proprio perché sospettavano qualcosa di brutto, dall'altra avevano imbarcato il piccolo, cosa che non avrebbero potuto fare. Chissà, nella concitazione magari avevano anche la percezione che respirasse. Quanto alla testimonianza della Satragni, avendo diagnosticato un aneurisma non fa più testo in nulla.

A Polistena anni fa una maga convinse i nonni e i genitori di un bimbo a ucciderlo per liberarlo dal demonio, e loro eseguirono. Qualcuno può aver influito sulla psiche di Anna Maria?
È possibile. Ma credo che la morbosa vicinanza di una personalità forte in questo caso abbia solo protetto l'assassina: il rapporto tra la donna e le sue amicizie ora va valutato attentamente.

E il marito? Come può perdonare e addirittura coprire il delitto?
Non è un problema di perdono: in questi casi c'è la pietas per la patologia che ha portato al dramma. Se poi c'era un grande amore, può resistere. Il senso di colpa per non averla capita fa il resto.

Ora spaventa la «normalità» di quella famiglia: «Se lo ha fatto una donna così, possiamo farlo tutte, un giorno», è il pensiero di molti.
Assolutamente falso: un caso così grave è rarissimo. E poi chi lo dice solitamente non lo fa: già il parlarne è liberatorio.

Perché tutti abbiamo reagito in modo tanto diverso nel caso di Erika «la malvagia» e di Anna Maria «la sventurata»? Erika era «normale» quindi da punire, la mamma di Samuele per aver fatto ciò che ha fatto non poteva che essere folle...
È verissimo. Il figlio che uccide il genitore è un empio e va punito per un delitto di lesa maestà che mette in crisi il principio su cui poggia l'intera umanità: il tabù del figlio che dipende dal genitore, in una gerarchia ancestrale. Al contrario la madre che uccide il figlio è qualcosa che comunque avviene e si «accetta». Perciò nel caso di Erika per la prima volta nella gente è scattata verso un minore la voglia patibolare: «deve» essere sana di mente e stare in carcere a vita. Invece Anna Maria «deve» essere matta per forza. Se non stiamo attenti la follia non sarà più un parametro scientifico ma lo schermo per coprire le nostre angosce.

Quale scenario vede ora per la madre di Samuele, se davvero risultasse colpevole?
Lo scenario deve essere di cura. Non in prigione, ma fuori dalla famiglia. Purtroppo però in Italia non esistono strutture del genere. Una pena comunque è necessaria, purché accompagnata da una terapia che riunifichi le due personalità. Ma ci vorrà tempo.