Lunedì, 13 Maggio 2002



La pm Matone: il fenomeno riguarda tutte le classi sociali



«Il fenomeno delle baby gang è in espansione da almeno due anni». Simonetta Matone, pm al tribunale dei minori, è il magistrato titolare dell’indagine sui due fratelli nomadi. Un caso di routine, per la procura di via dei Bresciani: «Impossibile ricordare il numero dei fascicoli simili», spiega il sostituto.

In che contesto sociale nascono le bande di adolescenti?
«Non c’è più alcuna differenza, si tratta di un fenomeno trasversale a tutti i ceti. Ragazzi anche di 14 anni si aggregano nei quartieri poveri come in quelli "alti" ».

C’è una ragione?
«Sì, ed è che la molla non è più la fame, la necessità. Ormai è una corsa ai beni di consumo: ognuno vuole giubbotto, cellulare, maglietta e motorino all’ultima moda. È un problema da affrontare a livello di famiglia e di società».

Come agiscono le baby-gang?
«In due modi. Alcune aggrediscono i coetanei per la strada allo scopo di derubarli. Potrebbero fermarsi al furto, invece ogni volta minacciano la vittima e scivolano così nella rapina, un reato ben più grave. L’altra modalità è l’estorsione a scuola, anche alle medie. Il compagno preso di mira viene terrorizzato e costretto a consegnare un po’ di denaro ogni giorno, cinque, dieci euro. Il dato allarmante non è la cifra, ma la condizione di soggezione psicologica in cui viene ridotto il malcapitato».

Sono efficaci le leggi in vigore?
«L’arresto provoca uno choc terribile, le denunce lasciano il tempo che trovano. Prima dell’udienza preliminare passano almeno dieci mesi, mentre la punizione dovrebbe scattare subito. D’altra parte, il carcere non può essere l’unica risposta».

E allora?
«Non ci sono ricette, bisogna decidere caso per caso. La giustizia minorile considera il processo un male tout court , io penso invece che a volte abbia una valenza terapeutica. Occorre evitare che il minore esca troppo presto dal circuito penale, in cui è seguito dagli assistenti sociali. Se accade, non lo si riprende più».