Sempre
Adolescenti: Qualcosa è cambiato
Maggio 2001

Intervista a Gustavo Pietropolli Charmet
Docente di Psicologia dinamica
all'Università statale di Milano

 

Professor Charmet, perché si parla di nuovi adolescenti?
“Uno degli aspetti fondamentali per coloro che interagiscono con i ragazzi, è quello di tenere presente che per capirli non serve più tanto ricordarsi bene della propria adolescenza. Nuovi comportamenti non ci autorizzano a semplificare la situazione. Siamo di fronte a dei contenuti nuovi, nuovi timori, bisogni. All'origine qualcosa è cambiato. Stanno cambiando i motivi per cui si soffre”.

In che senso?
“Io sono convinto che siano cambiati sia i contenuti che le forme non solo del disagio e del sapere ma anche della vita amorosa, della vita di gruppo, delle relazioni familiari, e che la scuola e la famiglia non siano al corrente del significato dei cambiamenti. Vedono le novità, si allarmano, si preoccupano, ma non riescono a dare un significato adeguato e questo complica la relazione educativa.
Spesso le novità spaventano, si tende o per una direzione o per un'altra. O si prende per buona la loro precocità, la loro autonomia, lo sviluppo di abilità sociali, oppure si esamina il lungo soggiorno in famiglia scambiandolo per patologia, immaturità, per carenza affettiva che evidentemente non è, dato che il 62% di giovani adulti, ultra trentenni, vivono ancora con la loro mamma.
Quindi mi sembra importante parlare di novità, che mi sembrano tantissime, e bisogna fare uno sforzo culturale per andare in questa direzione”.

In recenti fatti di cronaca abbiamo visto protagonisti adolescenti trucidatori dei propri genitori. Adolescenti che vengono definiti “normali”. È veramente così o si può parlare di qualcosa di patologico?
“Questa è stata un'amplificazione mass mediale. Credo che la preoccupazione vera dei genitori e degli educatori non sia oggi il fatto che i ragazzi prendano la decisione di uccidere la madre o il padre, ma esattamente il contrario. Cioè il conflitto tra le due generazioni è talmente pacifico e silenzioso che i conflitti sociali dei ragazzi, la loro protesta, le loro utopie, il loro impegno sono talmente miti che la sottomissione è impressionante. Quindi abbiamo una generazione di figli mammoni, non di matricidi.
Il problema non è la violenza ma lo spegnimento completo della capacità di combattere dei ragazzi”.

Di quale spegnimento sta parlando?
“Dal punto di vista educativo abbiamo il problema non di attenuare il livello dello scontro, ma di aiutarli anche a dire di no qualche volta.
Probabilmente l'interesse che questo tipo di eventi ha suscitato nell'immaginario è proprio legato al fatto che si comincia a sospettare che avere elementi silenziosi non sia l'effetto di un esagerato buonismo, ma che sia dovuto ad un'incapacità di porsi come diversi, che si sia spenta una naturale aggressività degli adolescenti e che quindi ci possa essere una violenza sommessa, ideologica, che tace. Socialmente questa situazione preoccupa i sociologi.
Può darsi che questa preoccupazione esprima in realtà la percezione che c'è qualcosa che non va, che si è dato troppo ma che questo dare troppo ha forse la finalità di metterli a tacere e di lavarsene le mani. In effetti sono ridotti al silenzio fino a quando a qualcuno non viene in mente di tirare fuori il coltello.
Ora c'è l'idea che ci possa essere un livello di ribellione inespressa che cova sotto le ceneri”.



Quanto incide la famiglia oggi nella crescita e formazione degli adolescenti?

“Incide molto meno che in passato. Tutte le ricerche dimostrano che i ragazzi hanno due famiglie: la famiglia naturale e poi la famiglia che si sono costruiti con le loro mani, la famiglia sociale, il gruppo di amici, piccolo o grande a seconda dell'età, che ha un potere decisionale enormemente superiore a quello della famiglia. Il gruppo li accompagna, li sostiene, li consola, li tiene uniti, svolge una funzione di contenimento affettivo di gran lunga superiore a quello che svolge la famiglia.

Il gruppo adolescenziale però non ci mette niente a diventare cattivo, stupido o deviante. Questo è il vero problema, perché buona parte dei reati minorili, che sono effettivamente aumentati di numero, non sono reati individuali ma di gruppo. Buona parte delle condotte pericolose anche per la vita, non sono individuali ma di gruppo, non si rischia da soli ma in gruppo. Tutta la gestione del sociale è di gruppo non è individuale, tutte le sfide sono di gruppo non individuali. Le decisioni, i più grandi, non le prendono con il pediatra o con la madre, ma con il gruppo. Dal debutto sessuale, via via fino alle cose più banali come il tatuaggio o il modo di bere, è tutto gestito dalla famiglia sociale.
Dentro la cosiddetta famiglia normale c'è una vita di gruppo appassionata dove si prendono decisioni rischiose, il gruppo che non ne può più di annoiarsi, che non è mai capace di decidere niente, decide a volte di compiere qualcosa di stupefacente”.

Esiste veramente il distacco dalla politica?
“Nella scena domestica, intima, credo che i genitori abbiano favorito questo perché i figli non rimanessero delusi come loro. È merito dei loro genitori avere sconfitto le ideologie, ma hanno tolto la filosofia della speranza”.

"I nuovi adolescenti"
Gustavo Pietropolli Charmet
I nuovi adolescenti.
Padri e madri di fronte a una sfida
Raffaello Cortina Editore pp. 296 - £ 35.000