Trasgressioni e sogni

Chiara Daina

Incontro con gli studenti dell'Istituto A. Vespucci
San Vittore, 11-03-2009

Quando si cresce insieme
assumersi le responsabilità
non significa diventare meno liberi
.

 

Oggi, per la prima volta dalla sua nascita, il Gruppo della Trasgressione si è riunito in assenza del suo fondatore e coordinatore, il Dott. Angelo Aparo.

Il Gruppo non ha voluto rinunciare a se stesso e al confronto con gli studenti. Così, ciascun membro si è impegnato a dare il suo contributo personale per l’obiettivo comune: promuovere l’evoluzione della propria identità attraverso la comunicazione con se stessi e con gli altri.

A Silvia è stata affidata la responsabilità di ricoprire il ruolo del Dott. Aparo. Si è dunque preoccupata di gestire gli interventi dei presenti, organizzandoli per contenuto e traendo da essi analisi capaci sia di mettere in luce i punti importanti emersi, sia di allargare gli orizzonti della riflessione grazie a collegamenti fra le idee e a ulteriori spunti.

 

Inizia la magia.

Silvia introduce il gruppo riassumendo la storia della sua progressiva formazione, la sua natura, le sue modalità operative e le sue finalità.

Mario completa la presentazione agli studenti specificando le attività che il gruppo svolge dentro e fuori dal carcere con l’aiuto di vari collaboratori: giuristi, storici dell’arte, filosofi.

Silvia chiede agli altri membri se hanno il piacere di aggiungere una considerazione personale sulla loro appartenenza al gruppo.

Ivano Longo, Ivano Moccia e Vincenzo riportano brevemente la loro esperienza al gruppo, sottolineando come il mettere sul tavolo davanti ad altri le loro imperfezioni li abbia aiutati a riflettere sulla loro situazione presente e sul loro passato.

A questo punto, Mario prepara i presenti all’ascolto della domanda che da lì a breve il gruppo farà, cercando di fermare la loro attenzione proprio sul nome che il gruppo si è dato (Gruppo della Trasgressione), e spiegando che ultimamente i membri si stanno interrogando sul significato di questo nome.

L’atmosfera si sta creando e Silvia si sente pronta a porre la domanda che darà avvio al confronto:

Che cos’è la trasgressione?

Silvia invita i ragazzi a trovare la risposta dentro di loro, non preoccupandosi di fornire belle definizioni teoriche, lontane da ciò che in realtà sentono istintivamente e naturalmente rispetto alla parola ‘trasgressione’.

Prima che il ‘Gruppo della Trasgressione allargato’ (così Silvia ha amato definirlo più volte nel corso dell’incontro) si esprima, vengono scelti due collaboratori, uno fra gli studenti ospiti e uno fra i detenuti, per riportare su un cartellone i vari interventi affinché tutti possano seguire più facilmente lo sviluppo della riflessione. Ad altri due membri del gruppo, un detenuto e una studentessa, viene affidato l’incarico di prendere appunti su un quaderno per scrivere poi il verbale.

Iniziano le risposte.

Cinzia: Per me, trasgredire significa uscire dagli schemi che la società ci impone e, in generale, uscire dai buoni comportamenti.

Sara: Trasgressione vuol dire andare oltre i limiti.

Federica: Quando una persona trasgredisce, lo fa perché vuole essere diversa dalle altre.

Andrea: Anche secondo me, trasgredire significa oltrepassare dei limiti con il risultato di avere qualcosa di diverso rispetto agli altri.

Gilberto: Trasgredire è fare qualcosa al di fuori dell’ordinario.

Luiss: Trasgredire implica arrecare del male ad un’altra persona.

Alessandro: Per me vuol dire fare consapevolmente ciò che non si dovrebbe fare.

Simone: Corrisponde anche all’entrare nello spazio degli altri.

Andrea: Secondo me, trasgressione significa fare qualcosa di inconsueto che non rispetta se stessi e gli altri.

Nicolò: Trasgredire è andare controcorrente.

Alessandra: Si trasgredisce quando facciamo qualcosa che ci rende diversi rispetto agli altri.

Edoardo: Il credere di poter fare qualcosa di diverso rispetto agli altri, così come il credere di poter essere diversi dagli altri ti porta a trasgredire.

Marco: Se desideri rinnegare l’appartenenza ad un gruppo devi trasgredire.

Marcello: Ma anche quando ti vuoi realizzare e divertire devi trasgredire.

Maria Antonietta (professoressa): Quando si sceglie volontariamente di sottrarsi ai modi condivisi con lo scopo di farsi riconoscere, di dire ‘io ci sono’, allora si trasgredisce.

Professoressa: Non credo che la trasgressione riguardi la questione morale  includendo perciò l’idea di bene/male o di giusto/ingiusto. Essa, piuttosto, sembrerebbe riflettere il desiderio di non essere uguali agli altri.

Vincenzo: Trasgredire è tradire la coscienza collettiva attraverso una reazione non preceduta da una riflessione.

Ivano Longo: Per quanto mi riguarda, la trasgressione è sinonimo di libertà.

Nicola Della Valle: Nella mia vita ho trasgredito per essere diverso dagli altri: per potermi comprare abiti costosi, macchine di lusso, al fine di farmi notare dagli altri. Ma così ho tradito la società, ho rotto il patto. Adesso, con l’aiuto del gruppo, sto capendo tanti miei errori.

Antonio di Mauro: Il contesto sociale nel quale sono cresciuto, la regione nella quale sono nato, cioè la Sicilia, e le condizioni del mio paese, San Cristoforo in provincia di Catania, hanno in qualche modo favorito i miei primi atti illeciti: ho cominciato rubando i motorini e facendo altri piccoli furti; per questo ho trascorso diverso tempo in collegi di rieducazione e nelle carceri minorili. Ora mi accorgo che il vero motivo è stato il mio desiderio di accorciare la strada, bruciando le tappe necessarie per raggiungere con il sudore e la pazienza i miei obiettivi. Non ho fatto un salto in lungo, ma un giro corto.

Silvia: Dall’intervento di Antonio emerge un percorso di vita fatto di piccoli passi (microscelte) che lo hanno condotto gradualmente a situazioni e passi sempre più gravi (macroscelte) vincolandolo al contesto che via via si costituiva intorno a lui.

Silvia chiede a Giulia di aggiungere qualcosa a quanto è già stato detto sulla trasgressione.

Giulia: Non si può limitare la trasgressione ad un fenomeno solo negativo. Infatti, esiste anche una trasgressione di natura positiva. In comune hanno il voler superare dei limiti che ci vengono imposti dalla famiglia, dalla società, dalla scuola, dal gruppo o da noi stessi. Ma le conseguenze a cui portano sono diverse. Se, ad esempio, faccio atletica a livello agonistico, i miei allenamenti sono sempre finalizzati al superamento dei traguardi precedenti. Voglio oltrepassare i miei limiti allo scopo di ottenere risultati migliori, voglio cioè trasgredirli in senso costruttivo. Al contrario, se sono arrabbiata con mia madre, perché con lei non riesco mai a comunicare e a trasmetterle i miei disagi, e decido per questo motivo di uscirmene di casa e di spaccare i vetri dei finestrini delle macchine parcheggiate lungo la via, in questo caso la mia trasgressione è di tipo distruttivo.

Giuseppe: Trasgredire per me è stato infrangere le regole della società. Volevo raggiungere gli oggetti dei miei desideri il più presto possibile. All’inizio vivevo questi piccoli furti come un gioco. Crescendo, la posta in gioco era sempre più grande, allora non si trattava più di divertirsi giocando: mi sono dapprima attaccato ai soldi, ne volevo sempre di più; poi questi non bastavano più per soddisfarmi, e mi sono attaccato al potere. Volevo diventare una persona sempre più potente e farmi riconoscere come un eroe dai compagni. Ma tutto questo mi ha portato più volte in galera. Mi ha allontanato dalla famiglia, dagli affetti, dalla mia vita. Un risultato che non mi piace più.

Silvia: In sostanza, Giuseppe, ha vissuto la trasgressione come un’escalation per acquisire potere.

Francesco Leotta: Ci fate ricordare tutte le feste, come quella dell’otto marzo dedicata alla donna, e oggi che è la festa del papà, a nessuno viene in mente di farci gli auguri: state trasgredendo! A parte gli scherzi, io, non avendo mai studiato, non ho mai potuto aiutare mia figlia a fare i compiti di scuola, non sono dunque riuscito ad essere un padre responsabile nei suoi confronti.

Secondo: Francesco, da quando ha imparato il Teorema di Pitagora, non è più considerato un cattivo. Ha dimostrato di essere capace di apprendere qualcosa di intelligente.

Silvia: Secondo ha introdotto un argomento che a voi studenti non membri del gruppo potrà suonare un po’ bizzarro e difficile da comprendere e da  contestualizzare in questa situazione. A questo punto, non mi resta che spiegarvelo brevemente. Francesco, come avete ascoltato, ha una parlata poetica e molto ricca di colori, di emozioni. Ha una figlia di diciotto anni che vive in Calabria e che è ammalata di anoressia. Il Dott. Aparo ha inventato uno stratagemma per cercare di costruire un filo di comunicazione tra lui e la figlia: ha chiesto ad entrambi di imparare il Teorema di Pitagora, e di farlo l’uno per l’altra, così che attraverso il lavoro comune riconoscano di essere un valore per se stessi e per l’altro. Quindi, mentre faticano insieme, si uniscono e si apprezzano reciprocamente.

Alimentare la comunicazione tra le parti separate dell’individuo, e quella tra l’individuo e il corpo sociale, è uno dei principali obiettivi del gruppo della trasgressione. Per raggiungerlo è necessario che si pensi insieme. Da qui, il valore che diamo al lavorare tutti insieme. Il reato, infatti, non può ridursi solamente ad una questione privata tra chi lo fa e chi lo subisce. E’ importante capire che si devono estendere i confini della riflessione per ricostruire e restituire la responsabilità individuale.

Ci tengo a specificare che i detenuti che fanno parte di questo gruppo, in realtà, non sono rappresentativi della dimensione carceraria di San Vittore. Sono detenuti che hanno scelto di intraprendere un percorso di riflessione che esula dall’ambiente carcerario in generale.

Mario: Io ho trasgredito per fuggire alle mie responsabilità. E’ stato un modo nascosto per chiedere aiuto e per essere riconosciuto soprattutto da mia madre.

Silvia chiede a Chiara di fare un riassunto dei punti principali che sono stati detti fino a quel momento.

Si decide di fare una PAUSA di dieci minuti.

Ripresa dei lavori…

Silvia rivolge ai presenti una seconda domanda:

Quali sono i sentimenti che portano alla trasgressione? Qual è la spinta che sta dietro alla trasgressione distruttiva che ti porta a commettere un gran casino? Qual è, invece, l’esigenza che spinge a quella costruttiva che ti permette di conoscere nuove forme espressive, come è avvenuto nel caso di Picasso, il quale ha disatteso i codici della pittura del tempo per promuovere la sua libertà espressiva e dare vita ad una nuova codificazione di regole?

 

Anche di fronte a questo quesito, Silvia sottolinea ai ragazzi di fare riferimento alle loro piccole trasgressioni, a tutti quei sentimenti che secondo loro li hanno spinti a commettere quei gesti, senza dunque dovere per forza elaborare una definizione perfetta che abbracci tutti i possibili casi.

Cinzia: Come ha detto prima la professoressa, anche per me trasgredire non ha a che fare con il bene e il male, il giusto e l’ingiusto. Non si tratta quindi di una questione morale. E’ piuttosto causata da un’insoddisfazione interna per la società o per la persona interiore che siamo noi.

Federico: Il movente lo identifico nell’esigenza di avere un’identità e nel dimostrare a chi ci sta intorno che ho coraggio e ho più personalità degli altri.

Ivano Longo: Alla radice delle mie trasgressioni c’è stata la volontà di andare contro ai miei famigliari e alle loro regole perché le sentivo imposte, e contro tutto quello che gli altri mi dicevano di fare allo scopo di potermi sentire libero.

Marco: Quello che secondo me ti porta a trasgredire è credere di avere una volontà superiore a quella degli altri: ciò che tu credi, pensi sempre che sia migliore di quello che credono gli altri. Inoltre, trasgredisci perché vuoi inseguire i tuoi ideali.

Giulia: Mi sento molto rappresentata dalle parole di Marco. Io non ho mai commesso reati, ma ho sempre sentito dentro di me un forte bisogno di trasgredire. Questo impulso interiore è stato dettato dalla rabbia nei confronti del rapporto che ho con mia madre. Con lei non sono mai riuscita a comunicare e a confidarmi. Mi ha sempre riempita di regole e di divieti senza dare ascolto ai miei desideri e alle mie esigenze di figlia. Allora, uscivo di casa appena potevo e quando stavo con gli amici facevo finta di non avere una madre. Se mi chiedevano qualcosa riguardo a lei, mostravo sempre un atteggiamento strafottente e la criticavo tantissimo. Da quando frequento il gruppo, sono riuscita piano piano a trasformare questa rabbia nel desiderio di trovare un’autorità non autoritaria. E il Dott. Aparo ne costituisce un grande esempio per me. Qui sono stata riconosciuta per quello che sono e non per quello che vorrebbero che io diventassi. Mi sono sentita un valore per tutti. E oggi non trascuro un fatto importante: quello di non parlar male di mia madre ormai da un po’ di tempo.

Silvia ribadisce ai ragazzi che alla base della voglia di trasgressione di Giulia c’è un rapporto problematico con la madre. Poi chiede loro:

Può essere davvero la rabbia il sentimento scatenante la trasgressione?

Studente: Secondo me sì, perché quando si è arrabbiati si fanno cose che con la mente lucida non si vorrebbero fare.

Antonio di Mauro: Nel 1969 c’è stata una delle più grandi rivolte nelle carceri italiane. I detenuti di quel tempo vivevano in condizioni di igiene pessime: non avevano i bagni e per fare i bisogni ricorrevano al buiolo, cioè una struttura in alluminio senza acqua. La rivolta fu scatenata per la rabbia di questa situazione che ci faceva sentire come degli animali. Le istituzioni ci hanno ascoltati e hanno compreso il disagio. Il risultato è stata la costruzione di bagni all’interno degli istituti penitenziari. La nostra è stata dunque una rabbia che ha portato ad una trasgressione positiva.

Per quanto riguarda il gruppo, il lavoro di riflessione a cui sto partecipando qui mi sta aiutando a diventare un uomo.

A queste parole, Silvia reagisce formulando una terza domanda:

Cosa si guadagna stando al gruppo e riflettendo insieme?

 

Ivano Longo: Io sto guadagnando dentro di me. Mi sta aiutando a cambiare il mio modo di pensare.

Giuseppe: Il gruppo serve per guardarti dentro, per capire gli errori commessi.

Luigi: Io sono sempre stato un truffatore. E’ da poche volte che partecipo al gruppo. Ho deciso di frequentarlo per vedere se riesco a togliermi questo modo di vivere.

Cinzia (insegnante di San Vittore): Una delle attività che questo gruppo promuove sono gli incontri con le scuole, come quello di oggi, per fare della prevenzione alla criminalità. Questo progetto si chiama ‘Educazione alla legalità’. Io ritengo che il bisogno di trasgredire per un adolescente sia fisiologico e sia causato dal desiderio di affermarsi nella famiglia e fra i suoi coetanei.

Silvia: Ora ho il piacere di presentarvi un prodotto del gruppo. Chiedo a Giulia di leggere una poesia dal titolo ‘Sogni Miei’ scritta da un detenuto del gruppo.

Giulia legge la poesia.

A questo punto, Silvia decide di richiamare l’attenzione dei presenti sull’ultima strofa chiedendone l’interpretazione:

“Salirò sulla nave,
svuoterò il sacco sul ponte
e vi comporrò, sogni miei,
in un’unica rete
insieme con quelli veri e quelli falsi
dei miei compagni di mare.”

 

Studente: Innanzitutto è difficile parlare di se stessi davanti agli altri. Qui si coglie il tentativo di condividere i sogni anche degli altri, oltre che dedicarsi ai propri, con l’obiettivo di fare una specie di resa dei conti di fronte a tutti dei nostri sogni e di quelli degli altri.

Ivano Moccia: L’immagine che ci viene restituita da questi versi è simile a quella di un puzzle in cui bisogna incastonare tutti i piccoli pezzetti nel modo giusto affinché la figura possa comparire. Così come occorre mettere insieme i sogni miei e quelli degli altri perché possano realizzarsi.

Marco: La poesia ci suggerisce l’importanza del confronto e della condivisione dei nostri sogni con quelli degli altri perché solo in questo modo ci si aiuta a distinguere i sogni veri da quelli apparenti. Da soli, infatti, non si arriverebbe alle stesse conclusioni a cui si arriva riflettendo insieme.

Silvia: Perché si parla di ‘sogni falsi’? Cosa si intende con ‘sogni falsi’, secondo voi?

Studente: Per me sono i sogni sbagliati, quelli che non si possono realizzare perchè non giusti nei confronti degli altri.

Studente: I sogni falsi sono quei sogni che non si possono avverare, che non sono concretizzabili.

Antonio di Mauro: Sento che questa poesia rispecchia molto il nostro gruppo. Gli obiettivi che mi sono sempre posto prima erano falsi e ingannevoli. Il gruppo mi aiuta a considerare i sogni veri. Qui riesco a parlare di cose personali molto delicate, che nel passato non avrei mai raccontato a nessuno per paura di venir meno al mio ruolo. Qui riesco a liberarmi di pesi che ho dentro e che mi rendono infelice e non mi fanno dormire la notte. Qui posso ributtare nel sacco tutti i miei pensieri, quelli falsi e quelli veri.

Marco: Allora sono falsi tutti quei sogni che ti portano in situazioni brutte e di dolore. Se si prova a raccogliere insieme i sogni veri, come stare bene in famiglia e avere un buon lavoro che ti faccia guadagnare, con quelli falsi, ci si accorge che quelli falsi costituiscono un ostacolo per raggiungere quelli veri.

Vincenzo: I miei sogni possono diventare veri solo se tengono conto di quelli degli altri.

Proprio al termine dell’incontro, arriva il Dott. Aparo.

Silvia gli chiede di fare qualche considerazione in merito all’argomento che si sta trattando.

Aparo: Il bersaglio che una persona ha quando nasce è uno solo e non è falso: è vivere, crescere, diventare grande. L’essere umano nasce finito e fa parte delle cose finite, ma da quando apre gli occhi ha l’aspirazione ad andare oltre i limiti finiti di questo mondo, oltre la vita stessa. Non esiste popolo che non faccia questa fantasia e che non abbia una religione per supportarla.

Il sogno dell’uomo è fondamentalmente riuscire ad andare oltre la portata del proprio sguardo. Tuttavia, col passare degli anni, si accorge che il sogno di andare oltre il finito deve fare i conti con la finitezza della vita e di tutta la realtà che è alla nostra portata. Non voglio dire che questo primo e inevitabile sogno di Infinito sia sbagliato o falso, penso piuttosto che possa diventare impropria la strada per coltivarlo quando la strada che scegliamo non permette che il nostro sogno possa convivere con quello degli altri. Non trovo falso sognare di diventare grandi né di essere riconosciuti dagli altri come figure importanti o eroi. Falso può essere invece il cammino che si decide di percorrere per diventare grandi quando, ad esempio, attraverso mille compromessi con se stessi, ci si accontenta del potere della mediocrità; quando si svende la stima e il riconoscimento delle persone che ci amano e che noi stimiamo, per comperare a basso prezzo il timore e l’ossequio di persone di cui noi stessi abbiamo poca considerazione.

Silvia termina l’incontro con parole di grande entusiasmo e soddisfazione:

“Devo dire che sono molto felice. Ci siamo sfruttati bene, abbiamo collaborato con serietà e complicità. Oggi mi sono sentita a casa, ho sentito l’affetto e l’unione dello stare in famiglia. Dal primo momento all’ultimo ci siamo accuditi perché tutti partecipassero con le loro competenze all’obiettivo comune, e soprattutto avete rassicurato me del fatto che tutto sarebbe andato per il meglio. Grazie a tutti.”

Alla fine dell'incontro tutto il gruppo, entusiasta, commenta la giornata: ci sentiamo tutti come all'inizio di una favola. Poi i membri esterni si trasferiscono al gruppo di Bollate, dove viene raccontata l'esperienza del mattino e dove le risposte di gran parte dei presenti fanno credere che non si tratti di una favola.

 

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