Prendi il vento


Angelo Aparo

Il progetto "Prendi il vento" nasce in relazione a domande che diventano, nel tempo, sempre più pressanti e che richiedono una risposta il più possibile organica.
Le domande cui la nave scuola "Prendi il vento" cerca di rispondere, offrendo un ambiente di elaborazione utile ad accoglierle, riguardano principalmente: 1) i processi di cambiamento intrinseci all'adolescenza; 2) la genesi della condotta deviante; 3) l'inefficacia del regime detentivo come strumento di risocializzazione; 4) il disagio mentale che non si presta a facili classificazioni (l'area borderline).

 

1) Il tempo dell'adolescente: tempesta in mare aperto

Gli studi sull'adolescenza ci dicono che, anche quando l'adolescente vive in un ambiente familiare bene integrato, in questa fase della vita incertezza e necessità di cambiamento sono così pressanti da generare grande sofferenza e instabilità. Spesso ne segue uno smarrimento che induce ad agiti di ogni genere, compresi quelli di tipo autodistruttivo. Il disorientamento di fronte alle sollecitazioni psicofisiche interne e alla necessità di adeguare l'immagine di sé alle attese del mondo esterno, spesso, è così forte da indurre l'adolescente a violare regole e confini che egli sente invasivi e persecutori. Quando l'adolescente non vive in un ambiente sufficientemente rassicurante, le regole sociali perdono ai suoi occhi la loro funzione protettiva e diventano arbitrariamente limitative della sua libertà.

 

2) La bufera impazza e lo scafo scricchiola


L'ambito familiare del futuro deviante è spesso caratterizzato da scarsa tolleranza verso le tipiche manifestazioni infantili e da ricorrenti e burrascosi conflitti. Gli accessi d'invidia verso i fratelli, generalmente numerosi, e le frustrazioni delle sue richieste agli adulti sono più frequenti della loro comprensiva accettazione da parte dei genitori e dell'aiuto verso una graduale disillusione delle prime fantasie onnipotenti (Winnicott). Le prime separazioni dalla madre sono di solito meno temperate di quanto possa accadere in una famiglia di medio reddito e gravata da minori difficoltà di integrazione. Il senso di vuoto e di abbandono, legati agli oneri di cui oggettivamente i suoi genitori devono farsi carico, saranno a loro volta più frequenti di quanto possa accadere per altre fasce sociali.

L'orientamento delinquenziale è inoltre facilitato da un padre che si presenti inetto, ubriacone, perdente, sottomesso alla moglie o, al contrario, autoritario, prevaricatore, ingiusto, violento verso la moglie e i figli stessi. In entrambi i casi il bambino rimane impossibilitato a fruire del positivo esercizio delle funzioni paterne. Nel primo, gli verrà meno il supporto per conseguire la propria separazione dalla madre; nel secondo egli si sentirà attivamente ostacolato nell'affermazione di sé e nel processo di individuazione. L'inettitudine e/o la prevaricazione del padre lo privano comunque della possibilità di fruire di una positiva identificazione con lui e di costituire dentro di sé quegli oggetti e quelle strutture della personalità che fanno poi da supporto per ulteriori identificazioni con le figure rappresentative dei valori etici ufficiali.

Le rinunce senza adeguate contropartite, le proibizioni del tutto inesistenti o palesemente arbitrarie faranno sì che il rapporto con i genitori segua più spesso la strada dell'imitazione adesiva che della identificazione. I comportamenti dei genitori, anche se poco rassicuranti o francamente violenti, saranno fatti propri in funzione della loro efficacia come strumenti di difesa verso i conflitti col tessuto familiare e, più tardi, col contesto amicale e scolastico. L'atteggiamento violento prevarrà sulla disposizione ad elaborare i propri impulsi e i propri conflitti e a simbolizzare le proprie istanze in maniera compatibile con le norme codificate.
In queste condizioni si svilupperanno facilmente una rigidità interna tendenzialmente sadica e una particolare propensione alla proiezione di istanze persecutorie sugli oggetti esterni. L'immagine del Sé rimarrà contrassegnata da modelli di comportamento e di autoaffermazione imperniati su un approccio onnipotente alla realtà.

Accanto a questo contesto familiare, il disadattato ha vissuto di solito gli anni fino all'adolescenza in quartieri periferici e spesso in un ambiente geografico e culturale diverso da quello d'origine. La sua inferiorità economica e culturale rispetto ai compagni di gioco e di scuola ha esasperato l'invidia, l'ostilità, il desiderio di rivalsa verso gli altri.
Il deviante d'oggi, di solito, ha conosciuto nel passato una resistenza più o meno pronunciata ad essere accettato dall'ambiente, ha vissuto come un disvalore i tentativi più o meno fallimentari dei genitori di adattarvisi e, in funzione delle inevitabili frustrazioni che ciò comporta, ha percepito il contesto sociale come un agente ostile, se non del tutto persecutorio.
Le prime figure istituzionali con cui egli viene a contatto e i mass-media gli comunicano inoltre norme di comportamento che appaiono poco riconducibili e poco appropriate alle proprie condizioni reali.

Agli occhi del bambino le figure parentali diventano dunque responsabili sia delle loro carenze interne, sia della incapacità di garantire le condizioni per le quali le norme sociali appaiono costituite. I genitori risultano, in definitiva, poco attendibili come agenti utili a trasmettere norme e modelli dai quali essi stessi non appaiono ben garantiti.
La scissione fra i modelli culturali suggeriti e l'effettiva possibilità di praticarli, troppo difficile da colmare, penalizzerà duramente l'immagine di sé, così che la ricerca della gratificazione narcisistica e immediata avrà la meglio sulla disponibilità a modulare le proprie fantasie di affermazione attraverso il riconoscimento dei propri limiti, la tolleranza delle frustrazioni e l'impegno nella costruzione.

La norma sociale, proprio perché presuppone l'omogeneità fra tutti coloro che ad essa fanno riferimento e da essa si attendono garanzie, viene vissuta dal disadattato in contrasto con quanto egli ha potuto ricavare dalla propria storia personale, cioè che egli non ha cittadinanza nel mondo delle garanzie.

La trasgressione, oltre a procurargli un utile e a liberarlo di una tensione aggressiva, rappresenta un ennesimo tentativo di recupero di ciò di cui negli anni dell'infanzia si era sentito defraudato e, allo stesso tempo, una richiesta di conferma della propria identità, quella identità che, a suo tempo, era stata attivamente ostacolata o non adeguatamente supportata.

Come il sintomo tende a rieditare i conflitti che lo hanno prodotto, il gesto deviante opera per il suo attore una riedizione delle carenze, dei traumi e dei conflitti che hanno caratterizzato la relazione con una madre meno presente del necessario e con un padre, che in quanto mediatore d'ogni istanza sociale, si era trovato a professare delle norme senza garantire le condizioni per farle proprie.

 

3) Il tempo del carcere: attesa nella bonaccia

Nella percezione di chi è detenuto, il tempo che scorre in carcere è soltanto quello del carceriere; quello del carcerato è sospeso, come un timer bloccato in attesa che ricominci la vita che egli potrà condurre all'esterno e, magari, la gara che combatte con le fantasie che lo portano a delinquere. Ogni decisione o accordo che egli conviene con i suoi vari interlocutori è certamente meno rilevante della scadenza della scarcerazione. Il fatto stesso che i confini di spazio e di tempo entro cui il soggetto è ristretto vengano avvertiti come un'imposizione esterna fa sì che anche gli eventi, che entro questi confini si verificano, vengano vissuti come estranei, poco rilevanti per sé, tanto da indurre la genuina percezione che alla domanda "come va?" non si possa che rispondere "come vuole che vada in uno spazio e in un tempo che non sono i miei?"

La detenzione porta a compiacersi dell'incapacità di appropriarsi di un presente nel quale non accade nulla o quasi da cui il detenuto riesca a sentirsi rappresentato, salvo le fantasie di fuga.
Quello che per il paziente comune nasce come progetto di far maturare il proprio rapporto col presente, per il carcerato corrisponde alla fantasticheria di essere altrove, in un altro spazio-tempo, dove possono essere collocate fantasie di affermazione personale e di appagamento che prescindono completamente dai limiti e dai legami che egli intrattiene attualmente con le persone e con le cose.
Il campo affettivo che caratterizza l'oggi del detenuto è segnato da un vettore di gran lunga dominante sugli altri: l'attesa del momento in cui il timer potrà essere riattivato. In mancanza di investimenti sugli oggetti attuali, la sua giornata viene popolata da fantasticherie di essere altrove, così che il presente difficilmente guadagnerà una consistenza tale da potere essere raccontato.
Un altro punto essenziale della vita intramuraria riguarda l'impossibilità o l'estrema difficoltà di impiegare costruttivamente le energie personali, finalizzandole al miglioramento o comunque alla trasformazione del proprio ambiente reale e di riferimento: la cella molto difficilmente può diventare per il suo ospite l'ambiente da modificare a propria misura.

 

La comunità "Il veliero"


La comunità si prefigge di offrire ai disagi di cui sopra un ambiente di contenimento e di elaborazione che possa favorire nei "membri dell'equipaggio" l'assunzione di ruoli e di responsabilità utili alla gestione del "veliero" e al mantenimento della sua rotta verso una meta, cioè una traversata fra le diverse trasgressioni di cui l'essere umano ha esperienza, cercando assonanze ed elementi di continuità nella differenza. Ci si chiederà pertanto se sia possibile trovare una matrice comune:

In tal modo verrà stimolata nei membri dell'equipaggio una lettura critica delle circostanze ambientali ed emotive nelle quali si sono prodotte le loro scelte; verrà evidenziato il potenziale trasformativo presente in ogni "virata", anche in quella effettuata nel modo più compulsivo e meno costruttivo; verrà incoraggiata l'elaborazione di quelle sensazioni che discendono da una carenza di spazi interni e/o esterni. Sfide e "sommosse" verranno utilizzate come energie utili per "dare spinta alle vele", favorendo quei processi di simbolizzazione e di integrazione che comportano un automatico ampliamento della possibilità di scelta individuale e che costituiscono la migliore prevenzione all'acting-out .