Lo specchio

Dimitar Georgiev

  15-07-2005
 

Giocavamo a calcio su un prato verde poco fuori città, eravamo un bel gruppo di amici, ci divertivamo tanto e pensavamo poco: insomma erano bei tempi.

Dal campo, guardando in su, si vedeva una casa sua una collina abbastanza alta. Qualcuno propone, non so chi, l’idea di andarci e trovarci tutti insieme per festeggiare. Smettiamo di giocare e ci mettiamo d’accordo: chi arriva per primo è vincitore e ha diritto a una ricompensa simbolica da tutti noi.

Come al solito, parto per primo. Camminavo su una strada statale che porta verso la casa. La strada era piena di buche e dovevo stare attento a non inciampare, ero quasi arrabbiato: “perché non aggiustano questa strada che passa in mezzo agli alberi in un paesaggio bellissimo?”. Camminavo e il tempo passava. Cominciavo a temere che non sarei riuscito ad arrivare per primo. Quando guardavo la casa dal campo mi sembrava molto più vicina, ma non era così. C’era ancora tanta strada da fare.

Dopo una curva si intravede un sentiero che sale verso la casa, così decido di accorciare, lascio la statale e intraprendo la nuova strada, che non era una strada ma un passaggio in mezzo a degli alberi.

Pensavo che così avrei guadagnato tempo. Salivo e vedevo che su quel sentiero non passavano tante persone, ma non mi importava, ero sicuro che così sarei arrivato per primo. Salivo sempre di più pensando di essere ormai vicino, ma la casa non si vedeva per i tanti alberi che erano tutto intorno.

Dopo un po’ arrivo sulla sponda di un fiume che mi ostruiva il passaggio verso casa. Poco più avanti incontro un vecchietto. Lui tranquillo, seduto su un sasso, guardava il fiume che scorreva con un rumore piacevole. Vedendomi arrivare si gira e mi dice: “Ragazzo dove stai andando, siediti qui vicino a me e guarda questo fiume quanto è bello; sai che ogni goccia di questo fiume non tornerà mai più nello stesso posto dove è passata?”

In quel momento non ho capito cosa mi volesse dire ma non mi interessava neanche: avevo un obiettivo da raggiungere e siccome il mio problema era superare il fiume mi rivolgo a lui e gli chiedo: “Scusi signore, mi può dire come attraversare il fiume?”. Il vecchietto mi guarda un attimo e mi dice “Puoi tornare indietro verso la statale: c’è un ponte per attraversare o, se no, ce n’è uno dall’altra parte, più o meno a quattro chilometri da qui”.

Lo guardo. Nessuna delle due soluzioni mi piaceva, anche perché, guardando da quella sponda, si vedeva la casa: ormai me ne separava solo il fiume e un breve tratto di bosco.

Mi giro verso valle e in quel momento vedo un ponte fatto di funi: più precisamente di tre funi collegate tra loro, una dove metti i piedi e le altre due per tenersi con le mani. Guardo il vecchietto e gli dico: “Ma signore! C’è un ponte di là, lo vede?” Lui mi rispose: “Sì, figlio mio, ma non te l’ho detto apposta, perché è molto pericoloso e non ti consiglio di attraversarlo. Meglio che torni indietro.”

Non l’ho ascoltato. Ho pensato “se l’hanno costruito gli uomini come può essere pericoloso? Deve pur servire per attraversare il fiume”. Mi giro verso il vecchietto, lo saluto e gli dico “Io vado, ci provo” e lui, tranquillo: “La vita è tua: fai quello che credi”.

Arrivato vicino al ponte lo vidi oscillare al vento e mi faceva paura, ma il mio desiderio di arrivare primo mi spingeva e mi dava forza e coraggio.

Piano piano, comincio ad attraversarlo, all’inizio andava tutto bene. Quando arrivo a circa metà, il ponte comincia ad oscillare pericolosamente e io mi spavento, perdo il controllo e, per poco, non cado nel fiume, che non mi sembrava più bello ma minaccioso. Temendo per la mia vita, tento di tornare indietro, però è ormai impossibile. Il ponte era instabile per girarsi e tornare. I minuti mi sembravano interminabili, perdevo energie, sempre di più la situazione era disperata.

Non so come sono riuscito a raggiungere l’altra sponda. Mi è passata tutta la vita davanti agli occhi e mi sentivo spremuto, non avevo più forza e voglia di arrivare primo. A separarmi dalla casa era rimasta solo la boscaglia, però non c’erano sentieri né passaggi: mi aspettava una dura salita. Mi giro verso il ponte, lo guardo a lungo e mi chiedo: “perché l’hanno costruito se da questa parte non ci sono strade e passaggi?”

Comincio ad arrampicarmi, rovi e spine mi tagliavano le mani, ero stanco, non mi importava più di arrivare primo, ma solo di salvarmi. Non so quanto tempo è passato. Alla fine sono riuscito ad arrivare alla casa. Era vuota ma, anche se i miei amici erano ormai andati, erano chiare le tracce del loro passaggio e della loro festa.

Ero solo e disperato e mi sono detto: “cosa hai fatto?” Ormai era tardi. Entro nel bagno per lavarmi, mi vedo nello specchio pieno di rughe e di capelli bianchi, guardo e mi chiedo quanto tempo è passato.