A. Cuppari, A. Ordanini, T. Croccolo

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Intervista sulla sfida

Prof. Gustavo Pietropolli Charmet

 

Senza pensarci troppo, quali immagini Le evoca il termine SFIDA?
In primissima battuta, più che alla reale intenzione interiore dell'adolescente, per me il termine "sfida" è legato alle rappresentazioni che gli adulti hanno degli adolescenti, alle reazioni degli adulti che presiedono alla crescita degli adolescenti e che spesso si sentono sfidati dai comportamenti eccentrici di questi ultimi. Gli adolescenti assegnano alle loro reazioni violente altri significati.

Gli adulti interpretano molti dei comportamenti adolescenziali come delle sfide che hanno il fine di chiudere il periodo delle paure infantili e immaginano che gli adolescenti si sentano costretti a "sfidare" proprio per segnare la chiusura di un periodo e l'apertura di un altro: il passaggio dalle paure dei bambini all'audacia dell'adolescenza.

Io credo che la sfida sia un'invenzione culturale degli adulti che devono confrontarsi con un comportamento che va al di là del convenzionale, ed è quindi un modo semplificato e stereotipato di spiegare il significato affettivo e profondo dei comportamenti adolescenziali, significato che gli adolescenti non condividono, perché sentono che gli adulti usano il termine "sfida" per indicare una dimensione infantile esibizionistica e quindi peggiorativa.

Per gli adulti il termine "sfida adolescenziale" ha, in effetti, un significato per lo più denigratorio; per l'adulto si tratta di comportamenti che non vanno promossi; le "sfide" sarebbero residui di comportamenti infantili onnipotenti che l'adolescente mette in atto, resistendo al riconoscimento del limite.

Nella relazione adulti-adolescenti, il termine "sfida" mi sembra dunque un tentativo da parte degli adulti di etichettare e ridurre la strategia comunicativa dei gesti non convenzionali degli adolescenti.


Può provare a descrivere una persona che lancia una sfida e una persona che riceve una sfida?
Sempre riferendomi al mio ambito di competenza, ci possono essere due casi:

 

Quali personaggi della storia, della mitologia, della letteratura, dell'arte, della scienza, dello sport, Le vengono in mente pensando alla sfida?
A me vengono in mente personaggi mitici (nel senso tradizionale e letterale del termine) che sfidano gli dei. Ad esempio, credo che l'Odissea, con il suo tema ricorrente della "sfida agli dei", sia una epopea adolescenziale, nonché un testo letterario riferibile all'adolescenza.

Per amore di giustizia, per amore degli uomini, per amore della cultura e del sapere bisogna accettare il grosso rischio di sfidare l'ira degli dei "permalosi"; questi ultimi rispondono alleandosi fra loro e punendo severamente coloro che hanno osato sfidarli.

Sia che Prometeo voglia portare il fuoco agli uomini, sia che Ulisse voglia andare al di là dei confini temporali e spaziali per avere accesso alla conoscenza, la sfida è rivolta al Super-Io quindi alla punizione, alla castrazione e viene fatta dentro uno spirito di solidarietà, fra persone unite da un legame di gruppo o che condividono l'avventura della conoscenza.

Secondo me questa sfida è caratterizzata dalla piena consapevolezza che si hanno poche possibilità di farcela e di sopravvivere, a meno che non intervenga una divinità mossa a pietà verso gli umani.

La sfida mitica è quasi sempre una sfida perdente, una sfida masochistica, una sfida eroica, che però ha un vasto pubblico che la sta a guardare e di fronte al quale ci si immola per far trionfare la giustizia.

Non mi vengono in mente, invece, sfide che non comprendono la dimensione della morte; senza questa dimensione ci troviamo di fronte a competizioni, impegni, responsabilità, accanimento, devozione, ma che non hanno a che fare con la sfida.

La sfida coinvolge sempre il "piccolo" e il "grande", quest'ultimo inteso come destino, malattia, rivoluzione.


Quali possono essere le cause e le finalità che spingono gli individui a rischiare lanciando delle sfide? Cosa sta alla base di una sfida?
Accettando l'ipotesi che non c'è crescita senza rischio da un lato e senza sfida dall'altro, credo fermamente che la sfida principale sia quella con la morte.

Nell'adolescente le relazioni all'interno delle quali viene calata la sfida possono essere diverse (le relazioni con gli adulti, le relazioni con la Giustizia, le relazioni con le sostanze stupefacenti…) e sono sempre significanti di una vicenda iniziatica.

I ragazzi diventano consapevoli di essere mortali e quindi devono sfidare la morte. In molti casi si tratta di morte simbolica, cioè l'adolescente deve accettare la sfida di morire come figlio senza sapere se dalla sua morte nascerà qualcosa di buono oppure non resterà più nulla. La sfida è quella di accettare la propria morte e mettere a repentaglio la sopravvivenza del proprio ruolo di studente, figlio, sportivo: morire per rinascere.

In questo rapporto con la morte, la sfida si inserisce nella crescita, nella separazione. Morire come figlio per rinascere adulto, morire come studente per rinascere lavoratore, morire come soggetto vergine per rinascere come soggetto sessuato.

Chi non sfida la morte sa che è destinato a morire comunque, ma muore da schiavo, da fallito. Quindi si è consapevoli di dover morire, morire simbolicamente, senza la garanzia di una rinascita. C'è un'area di rischio, che è il senso della sfida; c'è solo la speranza, la fiducia in una rinascita. Non c'è sfida che, almeno ad un livello, non sia mortale.

Quasi mai, secondo me, si può utilizzare il termine sfida per spiegare le relazioni esterne degli adolescenti; la sfida è invece interiore, ha l'obiettivo di superare la morte e si esprime con la violazione, ma ciò rappresenta solo un aspetto secondario.

La sfida adolescenziale non è quindi rivolta all'esterno, ma è una sfida mortale rivolta ad accelerare il processo di crescita, a superare un uno statuto nel quale l'adolescente si sente ingabbiato, e questo obiettivo viene raggiunto anche "scavalcando il recinto della legge".


Possiamo provare a individuare alcune categorie di sfida? Quanti tipi di sfida esistono?
Vi sono molti ambiti in cui si esercita la sfida: la sfida sportiva, la lotta fra i sessi, la sfida amorosa, la sfida fra maschi. Nonostante ciò, io ricondurrei sempre tutte queste tipologie a una sfida interiore fra due rappresentazioni di sé:

Nonostante le sue diverse possibili manifestazioni, io vedo la sfida sempre legata a una dimensione interiore, personale, soggettiva.
Se si chiede ad un adolescente il perché di un determinato gesto, lui parafraserà la sfida più o meno in questo modo: "Ho dovuto farlo. Non potevo esentarmi dal fare ciò"; di fronte ad un evento che sancisce la trasformazione, la rinascita, la reincarnazione, la sfida diventa per il ragazzo il mezzo necessario per affrontare la propria paura, la propria dipendenza, la morte.

La sfida è un termine molto elevato; le altre situazioni che interessano il guadagno, l'interesse non appartengono alla sua area. La sfida è più legata all'etica che all'esibizionismo infantile. La sfida riguarda se stessi, e infatti non sempre la società se ne accorge.


Quali differenze e quali analogie si possono cogliere fra la sfida di un adolescente e quella di un adulto?

Da questo punto di vista, la sfida dell'adulto è più coraggiosa anche se più prudente. Mentre l'adolescente non è consapevole del rischio che corre, l'adulto sa che può perdere tutto, mettendo a repentaglio il matrimonio, il conto in banca o che altro.



Che rapporto c'è fra sfida e narcisismo, sfida e istanze evolutive, sfida e conflitto?
A mio avviso, fra sfida e narcisismo c'è uno strettissimo rapporto. Naturalmente sto intendendo il narcisismo nella visione positiva corrente, come capacità di investire il Sé; un narcisismo positivo, kohutiano, dove non c'è dipendenza dall'oggetto, che non vive solo nella relazione, che si pone come meta privilegiata la realizzazione personale.

Un narcisismo inteso in questo modo, è in grado di accettare la perdita, perché l'oggetto è meno investito rispetto a chi ha invece un eccessivo investimento oggettuale. Chi ha una organizzazione narcisistica non maligna e non patologica è in grado di imporre grandissimi sacrifici a se stesso, come oggetto relazionale, per accettare la sfida della morte e del cambiamento.

Il conflitto nella sfida è tutto interiore; si dà voce alla parte inespressa del sé, liberandosi dalle oppressioni del Super-Io, e risolvendo il conflitto attraverso un'impresa, un gesto simbolico.


La sfida delle adolescenti femmine differisce da quella degli adolescenti maschi?
La sfida adolescenziale fra maschi e femmine ha una radice comune ma poi, a causa dei compiti evolutivi diversi e degli strumenti sociali diversi, la sfida si incanala e segue due percorsi differenti.

La sfida femminile è una sfida alla natura, al corpo, attraverso il corpo. Esempi sono la sfida della generatività, o ancora l'anoressia e la bulimia, che simboleggiano il desiderio di morire come corpo alimentare, materiale per rinascere come corpo spirituale. Queste sfide comportano manipolazioni violente del proprio corpo.

La sfida maschile, invece non investe tanto il corpo, quanto l'azione. L'agito assume un compito trasformativo sul proprio sé mentale e punta all'attacco. Si "penetra" nel mondo della Morte per dimostrare la propria maturità e per rinascere completamente nuovi.


Secondo Lei la nostra società lancia dei messaggi di sfida al cittadino?
L'attuale situazione sociale è basata su livelli elevatissimi di complessità e ciò ha comportato un aumento dei messaggi di sfida; già l'introduzione delle teorie liberiste ha portato ad una intensificazione della sfida fra gli individui.

I comuni cittadini si sentono sfidati dall'attuale organizzazione sociale a causa, appunto, della sua complessità. Nonostante ciò, si è convinti di avere molte chance, molte risorse e strumenti. Per esempio, studiare le lingue assume il significato di morte della propria lingua madre, della propria appartenenza originaria; imparando lingue "tecnologiche, virtuali" si pensa di riuscire ad agire sulla complessità della società e si pensa di riuscire a controllarla.

Ci sono infiniti modi di trascorrere la propria esistenza, infinite possibilità identificatorie; non c'è più nulla di rigidamente codificato e prescritto dalla propria famiglia d'appartenenza.

In questo mondo così complesso, la società incita alla sfida; ora in nome del liberismo, ora nella prospettiva di una maggiore redistribuzione della ricchezza. Quando aumenta il grado di libertà in un sistema, aumenta anche la complessità e la sfida si fa più elevata.


Secondo Lei affrontare delle sfide nel corso della nostra vita è inevitabile?
No. Non tutti sfidano; se si vuole crescere allora sì, la sfida è inevitabile. Ma ci sono moltissime persone che non hanno mai sfidato se stesse e si sono costruite un falso Sé, in accordo con la famiglia, la scuola, lo stato…

C'è gente che non ha mai affrontato una sfida; una sfida che consiste nell'accettare il cambiamento, da intendersi in termini di un passaggio da una condizione sicura e conosciuta, a una meta sconosciuta che può regalare però migliori qualità di vita interiore.

Chi gareggia in macchina, o che altro, non sfida ma compie un gesto disperato. La sfida appartiene all'Uomo Tragico, non all'Uomo Colpevole, ha a che fare con la dimensione della creatività, e non della nevrosi. La nevrosi è espressione di un compromesso, di paure.

In un processo analitico, il cambiamento comincia ad essere percepito nel momento in cui il paziente "sfida", accettando il cambiamento e cominciando a "lavorare" per cambiare.

 

BIBLIOGRAFIA e LINK

G. Pietropolli Charmet

"I nuovi adolescenti. Padri e madri di fronte a una sfida"
Cortina Editore, Milano, 2000 (pp 298, £ 35.000)
Recensione di Paola Carbone

Adulti e ragazzi, stessa fatica di crescere

Adolescenti: Qualcosa è cambiato