In che modo il futuro ha bisogno di noi?

 

di Sebastiano Maffettone


Tra non molti anni, animali e cibi transgenici sostituiranno gran parte della flora e della fauna a cui siamo abituati, cambiando il nostro ecosistema in maniera repentina dopo che ci eravamo ad esso adattati nel corso di un' evoluzione di durata millenaria. Contemporaneamente macchine intelligenti, da noi create ma poi forse sfuggite al controllo, tenderanno a subentrare in tutti i nostri ruoli più significativi. Noi stessi, d'altra parte, muteremo corredo genetico e saremo dotati di microchips che ci aiuteranno a svolgere alcune delle funzioni più importanti. Uno scenario fantastico, ma non troppo, come questo serve a farci riflettere sul fatto che il progresso scientifico e tecnologico cambia sempre più velocemente le nostre vite. Gli sviluppi recenti della genetica molecolare e dell'intelligenza artificiale ne sono probabilmente le istanze più eclatanti.

 

Mai come adesso la cultura sembra addirittura entrare in conflitto con la biologia, e il nostro lento passato evolutivo scontrarsi con un futuro vorticoso tecnologicamente mediato.

In che modo è possibile e giusto reagire intellettuamente a queste mutazioni così profonde? Ho cercato di rispondere a questa domanda nella maniera più semplice per me, e cioè mettendo a confronto, e direi quasi giustapponendo, qualcosa di quello che si riesce a comprendere dell'impatto del progresso scientifico sulle nostre vite avvalendomi dell'armamentario tradizionale - che a tutti noi, anche quando lo pratichiamo, talvolta appare francamente obsoleto - della filosofia teoretica e pratica (che nel mio caso eredita molto da Kant e Hume).

E' possibile un esercizio di questo tipo? E se lo è, risulta anche sensato e addirittura utile? Sappiamo dalla seconda legge della termodinamica che in un sistema chiuso, sarebbe a dire che non subisce influenza dall'esterno, il disordine o "entropia" cresce.

Ciò vuol dire che, lasciato a se stesso, un sistema-mondo, come quello in cui viviamo, dovrebbe diventare sempre più caotico. La seconda legge della termodinamica, basata sull'aumento costante dell'entropia, sembra così lasciare poco spazio all'emergere di creature intelligenti. Una creatura intelligente, comunque la si voglia intendere, espone un comportamento che è l'opposto di quello caotico, dato che ogni creatura capace di rispondere intelligentemente all'ambiente che la circonda presuppone un ordine sofisticato. La chimica della vita intelligente senza dubbio presuppone un progetto complicato di questo genere. Ma allora, apparentemente, la legge dell'aumento costante dell'entropia e la teoria dell'evoluzione, che si muove in direzione di un ordine sempre maggiore, cioè verso l'intelligenza, costituiscono due tendenze in contraddizione reciproca.

La risposta tradizionale a un dilemma di questo tipo consiste nel concepire l'evoluzione come un processo aperto, che fa parte di un sistema molto più grande e strutturalmente caotico, in maniera che l'aumentare dell'ordine nel processo evolutivo che ci riguarda da vicino tocchi solo marginalmente il livello di complessità del sistema generale (che resta così soggetto alla legge dell'entropia).

Nel processo evolutivo di una vita, le molecole si autorganizzano in funzioni distinte e complesse, a mano a mano che la chimica si trasforma in biologia. Durante lo svolgersi di tale processo, è fondamentale l'esistenza di un codice "scritto" che registri progressivamente i risultati ottenuti, in modo che il meccanismo problem-solving non ritorni costantemente sugli stessi punti. Proprio per questa ragione, la genetica del DNA è così basica come registrazione e guida dell'evoluzione. Con il DNA l'evoluzione mette a a sua disposizione una sorta di computer digitale che struttura il suo processo nel tempo. Ciò consente di pensare, quasi istintivamente, i due mondi con "ampie e "normali" intersezioni.

Esiste ora tutto un orizzonte di ricerca basato su queste intersezioni, di cui un esempio importante è costituito dallo studio interdisciplinare della vita artificiale (che mescola non solo biologia teoretica e computer science, ma anche ecologia, economia e matematica della complessità). In questo senso, gli studiosi di vita artificiale accostano i programmi di software della vita in maniera strutturalmente differente dagli studiosi di intelligenza artificiale, nel senso che vanno alla ricerca di programmi più isomorfi alla spontaneità dell'ordine cui fanno riferimento.

Da questo punto di vista, l'affintità tra i due campi di ricerca - che hanno un precursore comune negli studi sugli automi autoriproducentesi di von Neumannn - non vuol dire identità ma solo "somiglianza di famiglia" (vedi in proposito le due diverse antologie curate da Margaret Boden, The Philosophy of Artificial Intelligence e the Philosophy of Artificial Life per somiglianze e differenze).

Se partiamo dalla questione evolutiva della vita intelligente, e aggiungiamo che la tecnologia costituisce un ulteriore gradino evolutivo della vita intelligente, non possiamo non considerare proprio la computazione come un caso padigmatico. Continuando nel ragionamento precedente, possiamo affermare infatti che la computazione come capacità di ricordare e risolvere problemi è il tipico anello di congiunzione tra l'evoluzione naturale e l'evoluzione tecnologica. Funziona in maniera analoga negli organismi multicellulari e nelle tecnologie più sofisticate. In entrambi i casi, per esempio, creature più recenti e sofisticate possono rispondere più adeguatamente ai contesti complessi in cui sono immerse.

La cosiddetta legge di Moore - che regola il rapporto tra superficie (sempre minore) dei circuiti integrati e loro potenza (sempre maggiore) - istituisce una sorta di ritmo stabile di mutazione scientifico-tecnologica nell'area dello hardware della computazione in grado di esibire una crescita esponenziale di capacità. Alla luce di quanto detto sul rapporto tra caos generale ed evoluzione dell'intelligenza e dell'ordine, si può dire che la legge di Moore contribuisca a mostrare - ciò che è anche intuitivo- che al crescere dell'ordine intelligente i ritmi del cambiamento sono esponenzialmente più veloci.

In realtà non è facile comprendere le implicazioni di quest'ultima affermazione. Dal punto di vista generale - come abbiamo visto prima - si può dire che l'evoluzione, come sistema aperto, prende la sua energia per creare ordine dall'ambiente esterno, che fa parte a sua volta di un sistema universo soggetto alla legge dell'aumento costante dell'entropia e quindi caotico. Da un altro punto di vista, non è chiaro però se nella tecnologia presente-futura possiamo osservare un aumento effettivo di ordine o solo un aumento di informazione.

L'informazione, come distinta dal rumore puro e semplice, è una sequenza significativa di dati all'interno di un processo, più o meno come lo è il DNA per un organismo. Tuttavia l'informazione in quanto tale non costituisce un ordine. Riprendendo il Kant della Critica del Giudizio, si può dire che un ordine è un'informazione con uno scopo inerente. Il DNA di un organismo è un'informazione che può aspirare a diventare un ordine solo se accettiamo uno scopo prefissato costituito dalla sopravvivenza dell'individuo e dalla stabilità della specie. Il concetto di complessità è stato di recente adoperato per descrivere un rapporto del genere tra informazione e scopo all'interno di un processo.

La conclusione del ragionamento precedente è che la capacità computazionale è l'aspetto essenziale dell'ordine che si ricava dal processo evolutivo di una vita intelligente che includa anche la tecnologia come sviluppo ultimo. Considerando la natura esponenziale della crescita di complessità della capacità computazionale (legge di Moore), si può ipotizzare che essa conduca prima o poi a un mutamento evolutivo radicale. Questo mutamento consisterà verosimilmente nella creazione di intelligenze artificiali competitive con le nostre. Qualcosa del genere rappresenterebbe senza dubbio uno shock evolutivo, e mostra inequivocabilmente una possibile rotta di congiunzione in nome della complessità tra biologia genetica e intelligenza artificiale.

Sebastiano Maffettone (Napoli 1948) è professore ordinario di Filosofia politica presso la Facoltà di Scienze politiche della L.U.I.S.S. "Guido Carli" di Roma e direttore responsabile della rivista Filosofia e questioni pubbliche. E' autore di numerosi saggi nell'ambito della filosofia morale, sociale e politica, tra cui Valori comuni (Il Saggiatore 1989), Le ragioni degli altri (Il Saggiatore 1992), I fondamenti del liberalismo (con Ronald Dworkin, Lterza, 1996) e Il Valore della vita, (Mondadori, 1998).