L'illusione

 

Enzo Martino

Il detenuto Mimmo G. con il numero di matricola 067891 è liberante immediato. Così diceva il solito biglietto inviato dall'ufficio matricola.
Il detenuto lo chiamo io, che facevo lo scrivano. Il mio istinto però mi diceva che c'era qualcosa che non andava. Quel biglietto era come un oggetto incandescente. Ho chiesto al capoposto se dovevo chiamarlo, come se mi volessi liberare da quella responsabilità, che quella Domenica era toccata a me, per un gioco del destino. Era il mio turno festivo, mi toccava una volta al mese, e quella festività era toccata a me. Tutti i detenuti erano andati a prendere l'ora d'aria. Tutti salutavano tutti; allo scrivano, in questo caso a me, tutti chiedevano in modo scaramantico, nel caso arrivasse il biglietto dei liberanti, di chiamarli all'aria. Si può essere liberanti, ma a quella ora d'aria non ci rinuncia nessuno, mai.

Mimmo era sceso anche lui in cortile. Nel momento in cui scendeva le scale l'ho visto, mi ha salutato timidamente. Il trucco dello scrivano, consiste nel sostare, durante l'apertura dell'aria, davanti al cancello del primo piano, i detenuti dovranno per forza passarci davanti. La regola, anche quel giorno non ha fatto eccezione. Conoscevo tutti, mentre quel grosso serpente umano scendeva le scale, vedevo le loro facce tirate, gli occhi spenti, il sorriso forzato stampato in faccia. Era inizio primavera. Gli agenti gridavano per far sentire la loro voce in mezzo a quella moltitudine di persone, gridavano sempre la stessa frase -avanti che dobbiamo chiudere-. I detenuti svogliatamente ascoltavano, quella frase fa parte dei suoni abituali del carcere. Mimmo era andato al cortile della terza area, la più grande. Per il carcere, un metro in più è vita; la restrizione corporale alla fine ti crea un malessere interiore, che si scrive e non si cancella. L'uomo nasce libero, se lo rinchiudi lo sconfiggi nelle sue parti migliori senza educare quelle peggiori.

Quel biglietto era ancora nelle mie mani. Mi sembrava strano che potesse uscire, visto quello che gli era stato contestato. Non erano affari miei. Dopotutto io facevo il mio lavoro, ma quella volta, capivo che qualcosa non andava per il verso giusto. Mi avvio verso il cortile, chiedo all'agente se mi apre la porta della "terza area", la porta si spalanca. Mi trovo gli occhi dei detenuti addosso, mi chiedono chi stessi cercando. Chiamo Mimmo, con non poca difficoltà. Lui mi sorride, mi chiede cosa voglio, è giovane e usa l'educazione di un giovane verso una persona adulta e che deve scontare tanta pena.

Mi commuovo, per la sua tenerezza, per un posto così, è strano incontrare, delle persone tenere. Tutti in carcere si fanno passare per duri, ma dentro siamo teneri. Pochi sono i duri. Lui la sua tenerezza, la faceva trasparire: in carcere non è consigliabile. La corazza da duri bisogna indossarla necessariamente. Mimmo si avvicina, gli dico che è libero, non ci crede, pensa che sia uno scherzo. In carcere non si fanno certi scherzi, specialmente quando si tratta della libertà. Corre veloce su per le scale che portano in sezione, verso la propria cella. La cella 324. Regala tutto quello che gli chiedono, è usanza del carcere lasciare le tute da ginnastica o le scarpe, gli occhiali a quelli che rimangono. Scende giù e si avvia verso la rotonda, dopo aver salutato i compagni. Aspetta. Un ispettore dopo averlo visto attendere per un'ora circa, si avvicina. Io, gli sono accanto, non lo lascio solo. Il mio istinto non molla. Sono nervoso quanto lui, mi parla di sua moglie e della figlia appena nata, è al settimo cielo.

Si avvicina con aria truce e ci guarda; è un graduato della vecchia guardia è ispettore. Mi chiede cosa facciamo lì, cosa vogliamo. Mimmo parla per primo, è incontrollabile. La libertà fa quest'effetto credo, io ancora non l'ho mai assaporato, non immagino nemmeno come sia dopo tanto tempo trascorso in cattività.

L'ispettore, appena apprende la notizia, cade dalle nuvole, mi chiede chi mi ha dato quel biglietto, io rispondo con tranquillità, sono sereno non ho niente da nascondere. Gli rispondo che il capoposto mi dato questo cavolo di biglietto. Dopo le verifiche con la matricola, la risposta. È stato uno sbaglio della matricola. Mimmo ritorna in cella posa i vestiti e ridiscende in cortile, è disorientato. Tutti lo confortano, lui chiede di giocare a pallone. Gioca fino allo sfinimento del corpo e della mente.

Mimmo, l'ho rivisto in Tribunale dopo un anno, stava ancora facendo il processo. Dopo quasi due anni leggo sul giornale che è stato assolto. Sono felice. Ho riflettuto a lungo sul famoso biglietto. Io mi domando se la vita è un gioco, forse si, di sicuro la detenzione No.