Raptus, quando a parlare è l'azione

 

Il Giorno, Domenica 10-6-2001

 

   Gianni Buosi

  

MILANO - "A volte nella vita capita di non essere se stessi... di avere un momentaneo smarrimento... di compiere qualcosa di fronte al quale restiamo increduli, ma che poi risulta spiegabile... perché alla base del raptus c'è stata, giorno per giorno, una sorta di limatura della coscienza".

Questa testimonianza drammatica è stata letta in sala da Angelo Aparo, psicologo che opera in carcere. E non soltanto riflette il lucido pensiero di un uomo che aveva ammazzato la moglie, ma va al cuore del dibattuto convegno sul raptus tenutosi ieri all'Auditorium San Fedele.

Del resto, è il senso comune a confortarci, quando parla di "goccia che fa traboccare il vaso": al di là del gesto imprevedibile e apparentemente incomprensibile della persona "insospettabile", c'è una storia, che va analizzata.

Ma qui sorgono subito le divisioni. Il penalista Federico Stella nega che le varie psicologie siano in grado di aiutarci a capirla: il raptus è l'esplosione del male radicato nell'uomo, il segno della decadenza spirituale dell'Occidente; il ragazzo che uccide i genitori agisce invasato dalle illusioni del successo, del consumismo, del sesso; ricorda il nazista che coltiva i fiori nel lager; ha subìto la perdita della coscienza di sé e delle cose; punire non serve a nulla, ma portare nelle carceri un tipo di meditazione orientale può aiutare a ritrovare la coscienza smarrita. La provocazione dal sapore evoliano è una vera sassata.

Enzo Funari rivendica alla psicoanalisi modelli interpretativi coerenti e scientifici: il raptus è la risposta inconscia a una micro-traumaticità psichica quotidiana, che si accumula e improvvisamente esplode con effetto vulcano. Certo, è difficile coglierne preventivamente gli indizi, né si può chiederlo ai genitori. Ai quali però si può chiedere maggiore attenzione nell'ascolto dei figli, perché il dialogo sublima la tendenza ad agire. Ancora una volta la saggezza popolare ci aiuta: chi sogna soltanto di uccidere qualcuno gli allunga la vita, anche il fantasticare è un antidoto contro l'atto compulsivo. E non è poi vero che i raptus siano più frequenti oggi di ieri.

Il sostituto procuratore Francesco Maisto ricorda una serie di parricidi, avvenuti a cavallo fra gli anni '70 e '80, in Brianza, all'interno di famiglie di emigranti calabresi: erano realtà chiuse, territorialmente e mentalmente, tanto che quei delitti si configuravano come una sorta di legittima difesa. Così come non è vero che dietro il raptus ci sia sempre l'eclissi della coscienza morale.

Lo ricorda la psichiatra territoriale Giuseppina Angelini: sono molti, dopo l'omicidio, a tentare il suicidio, perché hanno orrore del gesto compiuto.

Ma il raptus omicida pone sul tavolo anche il grave problema della punibilità. E qui si tocca con mano lo scollamento fra ambito giuridico e psicologico. Ai fini della non punibilità occorre dimostrare l'"incapacità di intendere e di volere". E se è chiaro che uno psicotico assassino in preda a un raptus non è punibile, non è scontato che lo stesso valga per il delitto compiuto dalla persona "normale". A proposito di queste "reazioni a corto circuito" (vedi box a fianco), la Cassazione si è pronunciata in modi difformi. C'è poi lo sbarramento dell'art. 90 del Codice penale: gli stati emotivi e passionali non giustificano il delitto, al massimo costituiscono un'attenuante.

Ma sono stati la Bibbia e don Guido Bertagna a fornire un'affascinante lettura archetipica della violenza che esplode cieca. Nel primo delitto dell'umanità, Caino uccide il fratello Abele: perché non accetta l'altro, non vuole il dialogo o lo svuota. Dalla Bibbia, testuale: "Caino disse ad Abele." Punto e a capo: Caino non disse nulla.

"Un impulso violento,
improvviso e imprevedibile"

Nell'autorevole "Dizionario di psicologia" Utet - recentemente ripreso nell'"Enciclopedia di psicologia" Garzanti - Umberto Galimberti definisce così il raptus: "Impulso violento e improvviso che porta ad atteggiamenti distruttivi fino all'omicidio e al suicidio per effetto di un sovraccarico affettivo o per mancanza di controllo in situazioni impreviste e imprevedibili.

Può riscontrarsi in crisi depressive (raptus melancholicus), nella schizofrenia, in episodi di disperazione, oppure in presenza di eventi insopportabili o in circostanze stressanti come la reazione psicogena a corto circuito." Le reazioni a corto circuito, dice Galimberti, si manifestano "con fughe da casa, aggressioni, tentativi di omicidio o di suicidio in conseguenza di frustrazioni protatte o divieti reiterati, in personalità immature in preda a spinte emotive che sfuggono alla riflessione critica.

In questi casi il giudizio di responsabilità ha grande importanza in psicologia forense, dove è indispensabile sapere se il soggetto era in grado di riflettere razionalmente. Per questo si considera se l'atto ha l'aspetto di un'entità estranea alla vita del soggetto, se è stato attuato senza pianificazione, se il soggetto mentre compiva l'atto non ha avuto riguardi nemmeno per se stesso, circostanze, queste, atte a provare la sua capacità di intendere e di volere".