Incontro con la dott.ssa Sodano

Erika Riva

04-07-2003  

L’incontro si è svolto seguendo uno schema semplice e preciso: la dott.sa Sodano avrebbe posto le domande e il gruppo della trasgressione avrebbe risposto alternando il parere di detenuti e studenti.

Qual è l’obiettivo del gruppo? Quale l’oggetto degli incontri?
Attualmente ci stiamo occupando della tematica del confronto, in particolare rapinatori-rapinati, prendendo spunto dall’episodio di Piazzale Baracca, in cui un tabaccaio ha ucciso il rapinatore.

Altra tematica attuale è il rapporto genitori/figli, specie tenendo conto delle condizioni dei detenuti-padri; si parla di come gestire la mancanza di una figura paterna di riferimento, di come interagire con i figli, di come mantenere vivo il rapporto pur avendo solo 6 ore mensili di colloquio a disposizione…

In passato si è parlato anche di micro e macro scelte, di limiti, della sfida… tutte tematiche comuni all’essere umano, che permettono di far comunicare parti diverse della società all’interno del carcere (per eccellenza luogo di separazione), che favoriscono la crescita personale dell’individuo e la riflessione sul proprio operato passato e futuro.
Nel gruppo ciascuno di noi ha l’opportunità di intervenire, di crescere, di riflettere, di trarre qualcosa di buono anche dalle situazioni più difficili.


Come si procede durante gli incontri? Ci sono divieti?
In genere durante gli incontri si parte dalla lettura degli scritti dei membri e da lì prende il via la discussione. Non ci sono divieti né imposizioni, ciascuno è libero di dire quello che vuole, nel rispetto altrui.
Scopo del gruppo non è la confessione del reato o la ricerca del colpevole e della menzogna, scopo primario è la riflessione. Non esistono regole o divieti su ciò che si può o non si può scrivere, ma in genere ognuno di noi attinge dall’esperienza personale o comunque dà voce alle proprie riflessioni.
Si scrive in libertà perché il gruppo non ha lo scopo di giudicare chi scrive.
Proprio perché uno degli obiettivi primari è lavorare su noi stessi avrebbe poco senso mentire: non ci sono obblighi a frequentare il gruppo, quindi si presuppone che chi lo fa abbia davvero voglia di mettersi in discussione, senza finzioni.

C'è uno schema preciso entro cui sviluppare gli argomenti?
Ognuno è libero di esprimere le proprie idee; casomai è dal confronto con gli altri che capiamo se le nostre posizioni sono valide o se sarebbe meglio rivederle, smussarle.
Non c’è comunque un’ “ideologia di gruppo” predefinita, c’è piuttosto un attenersi alle regole morali generali cui la nostra società si ispira; ogni volta si confrontano le diverse posizioni: l’eventuale accordo riguardo un argomento si costruisce passo passo attraverso il dialogo.

Tutti si mettono in discussione? Anche gli studenti?
Sì, anche gli studenti si mettono in discussione, come si può capire leggendo i loro scritti.
L’esperienza del gruppo ha coinvolto sia detenuti che studenti, ha attivato sentimenti comuni, ha spinto alla riflessione. Il confronto con punti di vista diversi dal nostro, inevitabilmente, porta anche ad un’attenta analisi su noi stessi, a una revisione critica delle nostre posizioni.
Il rapporto detenuti studenti è paritario, anche per questo il lavoro del gruppo può andare avanti: entrambi i poli sono attivi, danno e ricevono contemporaneamente.

Cosa dire riguardo l’argomento genitori/figli? Cosa pensano i detenuti?
Avete dei progetti concreti in merito?

L’argomento è stato sollevato proprio dai detenuti, partendo dalla tematica della coazione a ripetere. E’ infatti risultato che il pessimo rapporto genitori-figli sia stata una costante in molte delle loro esperienze personali, che poi li hanno portati a delinquere.
Ora loro stessi, in quanto detenuti, si trovano in una posizione difficile per svolgere il delicato ruolo di padre.
Come evitare che i loro figli restino segnati da questa esperienza diventando a loro volta devianti?
Quale consiglio potrebbero dare ai loro figli?
Come mantenere vivo il rapporto?
Spesso i figli sono arrabbiati con i padri detenuti e, specie se piccoli, non capiscono se il padre è in prigione perché è cattivo, perché loro hanno fatto qualcosa di male per meritarselo, o se è il mondo intero ad essergli ostile. Dall’altro lato abbiamo padri perennemente in ansia, che si rendono conto di essere per forza di cose assenti e si trovano in difficoltà nell’esercizio della funzione educativa con i figli.

Il gruppo può essere utile su più fronti: fornisce gli strumenti per migliorare il rapporto con se stessi come individui e quindi anche come padri; può portare alla luce le esigenze dei giovani, proprio perché all’interno del gruppo si confrontano padri (detenuti) e figli (studenti); il lavoro del gruppo può anche essere un utile aggancio per stimolare la curiosità dei figli, coinvolgendoli attraverso il sito; si può creare così un terreno comune tra padre e figlio, in modo da mantenere vivo il legame.

Il padre detenuto che lavora con il gruppo, produce, scrive, può essere per il figlio un modello più positivo rispetto all’immagine classica del deviante rinchiuso immobilizzato in attesa della libertà. Si deve evitare che il rapporto genitore/figli sia centrato sul conflitto fra loro o sul conflitto che il figlio vive con l’istituzione che tiene il padre in stato di detenzione.

Proprio a scopo preventivo stiamo portando avanti un progetto con una scuola di Carate dove porteremo i ragazzi ad esprimersi e confrontarsi con il gruppo (detenuti e studenti) su tematiche comuni inerenti la devianza. Le riflessioni si focalizzeranno ad esempio su modi alternativi e non dannosi di concepire la trasgressione.