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Un bicchiere mezzo pieno

Antonella Cuppari

Ciao a tutti,

quello trascorso è stato un week-end veramente ricco e stimolante.

Gli scouts si sono dimostrati ragazzi ricchi di curiosità, che hanno voluto mettersi in gioco e saputo sfidare le mura del carcere spinti da motivazioni differenti.
Essi si sono calati nella realtà carceraria, hanno usato i loro occhi per guardarsi intorno, capire, conoscere, interrogarsi.

Una di loro, Emma, raccontava, durante i gruppetti di lavoro di domenica pomeriggio, il senso di soffocamento che ha provato nell'entrare in carcere, con le porte che si aprivano e subito si richiudevano alle sue spalle, con quel "tonfo" pesante, che ingabbiava il tempo fermo e immobile della vita carceraria.

Andrea mi ha raccontato di come i suoi occhi andassero alla ricerca di una figura riconoscibile di detenuto, la cui devianza fosse impressa sul volto come un marchio indelebile.

Gloria, invece, ha vissuto questa esperienza come un modo per riempire quel contenitore vuoto e pieno di sbarre che nella sua testa rappresentava il carcere; un vuoto che lei ha poi riempito di volti e di emozioni.

Le domande che in questi due giorni molti scouts hanno posto, sono le stesse che, in qualche modo, hanno alimentato e alimentano ancora oggi il lavoro del nostro Gruppo:

Il carcere è una realtà fatta di contraddizioni, tensioni, problemi, situazioni difficili, ingiustizie e tanto altro. Questo è un dato di fatto di cui tutti, in qualche misura, siamo consapevoli.

Se da un lato la realtà esiste, dall'altra esistono anche degli occhi che la osservano, diversi da persona a persona e che determinano il modo che ognuno di noi ha di porsi nei confronti di questa realtà.

La metafora del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto può essere significativa. Sia che si veda il bicchiere mezzo pieno, sia che lo si veda mezzo vuoto, la realtà di quel bicchiere rimane invariata. Ma se un bicchiere viene visto mezzo vuoto, si rimane poco motivati a colmare quel vuoto; viceversa vedere un bicchiere mezzo pieno permette agli occhi che lo osservano di spingere e motivare "l'osservatore" a riempire quella mancanza.

La stessa cosa vale per la situazione in carcere, che va osservata con degli occhi che lasciano aperta la possibilità di poter agire su quella realtà.

L'incontro di ieri, così come tutte quelle esperienze in cui il dentro e il fuori si incontrano, credo abbia dato a tutti la possibilità di "allenarsi a mettere insieme pezzetti di disastri, storture ed emozioni" (Aparo).

L'obiettivo non è stato quindi quello di conoscere il carcere, ma di conoscere, divertirsi e crescere con chi sta in carcere.

Il Gruppo della Trasgressione è una realtà molto particolare all'interno del carcere che si pone in un ottica che permette di vedere il "bicchiere mezzo pieno".
Il presupposto fondamentale è che "un essere umano può innamorarsi della realtà solo se ha la possibilità di metterci le mani dentro e impastarla" (Aparo).

Io credo che ieri questo sia successo; gli scouts hanno avuto la possibilità di restituire ai detenuti e a noi studenti del gruppo, le loro emozioni, impressioni e domande attraverso fogli scritti che ci hanno consegnato, che sono stati letti in carcere, e su cui dopo si è discusso e parlato.

E' questa la realtà che conta, che costruisce. Una costruzione che si avvale delle diversità di coloro che accettano di incontrarsi con quelle parti di società che fino a quel momento, per un motivo o per l'altro, erano lontane.

Questo scritto è un modo per restituire, a mia volta, quello che il workshop mi ha lasciato; rappresenta il mio mattoncino che si andrà a sommare con tutti gli altri mattoncini di coloro che hanno deciso di giocare, impastare e costruire.