Oltre la cultura della pena

Parma - 11/12/2002
Comunicare è vita

 

Incontro sul tema con presentazione e proiezione
del film "Campo Corto" realizzato nel carcere di San Vittore

Rossella Dolce


Emilia Patruno: é bello che il titolo della serata sia "comunicare è vivere", in carcere invece si pensa più come "comunicare e vivere" con la e congiunzione, perché in carcere il corpo è fermo e il rischio è che anche la mente si fermi. All'interno del carcere di San Vittore si pubblica un giornale che si chiama "il due" e di cui dirigo la redazione formata da carcerati.

Il giornale esiste da nove anni; da quasi quattro anni lo pubblichiamo on-line.
Il carcere è una punizione corporale e non è prevista la possibilità di comunicare.
La pubblicazione on-line del giornale " il due" serve, in questo senso, ad allargare gli orizzonti di una vita quotidiana ristretta.

Bisogna tenere presente, che tutto quello che succede a Milano, che tutto il lavoro fatto che presenteremo e di cui parleremo qui, non rappresenta la realtà del carcere e non deve essere scambiata per tale, le cose di solito non stanno così. Noi abbiamo potuto lavorare in questo mondo, anche grazie alla direzione del carcere, ma non succedono le stesse cose nelle altre carceri.

Angelo Aparo: Il lavoro comune con Emilia è, in generale, promuovere la comunicazione tra interno ed esterno del carcere.
Il lavoro con il gruppo della trasgressione, è riflettere e produrre iniziative su argomenti di confine come ad esempio la sfida, l'imperfezione, il male, la trasgressione. Sono questi dei temi che permettono ai cittadini, detenuti e studenti di parlare di argomenti apparentemente neutri e di arrivare poi, da questi, a riflettere su situazioni della propria vita.
Il film inizia con la frase "non era questo il primo sogno". Io credo che buoni e cattivi, persone che costruiscono e che distruggono, perseguono tutte un sogno. Ci sono persone che sentono di avere strumenti per accudire e coltivare questo sogno e altri che non li hanno.
Poi ci sono in gioco le capacità di tollerare la frustrazione e di utilizzare gli strumenti per non abbandonare questo sogno.
Emilia e io, abbiamo anche il compito, non di catechizzare le persone, non di insegnare loro a vivere, ma di ricreare un ambiente in cui questo sogno possa essere recuperato e dove si possano reperire i mezzi per accrescerlo.
La nostra attività non è un volontariato, il nostro scopo principale non è aiutare i carcerati.
Noi utilizziamo le parole, la comunicazione, per creare una piattaforma dove le persone possano accudire propri sogni e vivere la vita in modo meno distruttivo.

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A questo punto sono stati proiettati due filmati: il film " Campo Corto" e delle interviste fatte nel mese di dicembre da Emilia Pautruno ad alcuni detenuti.

Angelo Aparo: il film si conclude con un sogno di Vittoria: viene lanciato un fiore in aria, questo fiore dice che la vittoria è nella comunicazione; il sogno dei detenuti è la comunicazione.

Mi viene mentre che quando ero piccolo, io mi divertivo a lanciare la bicicletta di mio padre per un breve tratto senza di me, mi piaceva un sacco pensare di poter darle equilibrio. È un sogno pensare di dare equilibrio a qualcosa e sperare che questa cosa poi lo mantenga.

Io non credo che l'uomo possa essere umile. Questo perché, l'uomo tende all'infinito, il suo sogno è l'infinito, non c'è un'età in cui questo sogno si può lasciare perdere.
Ci sono uomini fortunati che pensano l'infinito ad esempio facendo cantare un coro o facendo teorie sul mondo, sono gli artisti, gli scienziati. Ci sono poi uomini che non hanno nessun mezzo per pensare l'infinito.

I detenuti facendo questo film hanno cercato di recuperare il loro sogno di diminuire la distanza, dal momento che hanno un muro davanti, con questo film hanno provato a superarlo. Oltrepassare i muri però è sogno di tutti.

Per questo non credo in una umiltà ultima dell'uomo: l'umiltà è accettare l'aiuto degli altri per coltivare il proprio sogno, non è rinunciare al sogno dell'infinito.

In carcere si trovano "sogni abortiti" che possono aiutarci a vedere i nostri, a vedere come possono cadere e come invece si possono sfruttare le situazioni per farle diventare utili al nostro scopo.

Cappellano: Il carcere di Parma deve diventare parte della città. Per farlo bisogna avere le sinergie ci sono tante piccole realtà che devono incontrarsi e aiutarsi.
Mi è piaciuto il sogno tipico di evasione dei detenuti, contrapposto al sogno tipico di evasione dei cittadini.


Emilia Patruno: Io sono una volontaria al carcere di San Vittore, ma penso che esistono diversi tipi di volontariato.

Per quanto mi riguarda, io non voglio fare delle cose per i detenuti, io voglio fare cose con i detenuti.
Questo perché, io non credo di avere molto in comune con un detenuto, abbiamo idee e visioni diverse, valori diversi, ma sono interessata alla edificazione di un terzo terreno comune su cui sia possibile costruire qualcosa insieme.