Abilità e incompatibilità

 

Antonella Cuppari

Ho letto il romanzo di Bomprezzi; già dalle prime pagine mi sono sentita coinvolta, catapultata dentro in una realtà fatta di confini. Non per niente il primo capitolo del libro si intitola "La prigione". La prigione di un uomo (Paolo) che ha due gambe forti, vitali, fatte apposta per camminare, correre e saltare; due gambe che però non possono muoversi perché "costrette" (almeno all'inizio) su una sedia a rotelle dal volere di un certo Giovanni dalle ruote Nere, il tiranno.

Riga dopo riga ho sentito crescere dentro di me quel dolore fatto di continui tentativi vani di alzarsi, di scappare, di uscire dalla propria prigione; quelle gambe potenzialmente potevano muoversi se non fosse stato per quel limite, quella carrozzina che gli era stata imposta come punizione. In un mondo ribaltato, dove i dis-abili sono gli unici abili per quel determinato ambiente costruito apposta per loro, ciò che costituisce la forza, la ricchezza e le risorse primarie di Paolo per scavalcare i confini di un mondo normale, diventano la fonte della sua dis-abilità.

Che rabbia leggere di un uomo, delle sue gambe forti, delle sue potenzialità che non possono rompere gli argini, esprimersi, lasciare le loro impronte. E' difficile ribaltare la situazione ma ci provo: così mi viene in mente una persona sulla sedia a rotelle, mi viene in mente una persona cieca e un'altra sordo-muta e un'altra senza braccia. Provo a pensare al senso di costrizione che essi possono provare… una costrizione che non è però dovuta al loro "handicap" ma al mondo circostante che gli è precluso, che gli è negato, che non riconosce le loro potenzialità, che non riesce a vedere le loro "gambe forti". Gambe diverse da quelle che siamo abituati ad avere, ma che hanno la loro stessa funzione: camminare, correre.

Sabato ho avuto uno stage di danza a Milano: c'era una ragazza senza braccia. Abbiamo cominciato ad improvvisare due a due. Ho danzato con lei e ho visto la sua armonia, il suo equilibrio, la sua fiducia che veniva riposta in me. Avevo paura di farle male; mi sono sentita una stupida e poi una privilegiata, privilegiata perché stavo danzando con lei, che aveva saputo fare delle sue gambe, anche due braccia e che sapeva muoverle come mai avevo visto fare.

Cos'è il limite per un dis-abile? La sua infermità? I suoi monchi? La sua cecità? Forse. Ma un confine, come si sa, è fatto per essere superato. Ognuno ha dentro di sé la voglia di superare i propri limiti, ognuno ha dentro di sé la voglia di correre, di saltare, di esprimersi. Senza quel limite, quella ragazza senza braccia, non avrebbe mai saputo usare le sue gambe in quel modo; gambe che erano state in grado di fare anche quello che non era previsto facessero. La carrozzina costituisce di fatto le uniche gambe che una persona inferma ha a disposizione; gambe che spesso vengono negate dalle barriere architettoniche. Ecco che proprio in questo riesco a percepire l'analogia tra Paolo ed una persona sulla sedia a rotelle; non "costretta" sulla carrozzina, ma "costretta" a vivere in un ambiente che non riconosce le sue gambe, che non gli permette di muoversi liberamente.

Tiranno è un mondo che impone un'unica idea di normalità preconfezionata, che limita, che opprime, che impedisce di muoversi. Giovanni dalle ruote Nere è tiranno ma nello stesso tempo vittima di sé stesso; ha ribaltato quel mondo che lo aveva escluso, dentro di sé. Ha creato così un nuovo mondo, con alla base una nuova idea di normalità: la contea della Sacra Ruota. Non è detto che in un mondo ribaltato le cose vadano meglio, anzi.

Quando ormai Paolo si è arreso al suo destino, arriva Francesca, la compagna feconda. Francesca è dis-abile, ma abile in quel mondo costruito su misura per "quelli come lei". Francesca soffre per il senso di costrizione che Paolo vive. Quel senso di costrizione che forse lei ha provato a sua volta quando viveva nel mondo "normale", che l'ha fatta soffrire e rifugiare al di qua del muro. Francesca vuole far fuggire Paolo, vuole che quelle gambe tornino a camminare, correre, saltare. Così insieme fuggono dalla prigione e si rifugiano a casa di Francesca; lì hanno la possibilità di conoscersi meglio. In quel luogo e in quel momento in cui è difficile capire chi è il disabile e chi no, cosa è normale e cosa non lo è, in quel luogo dove non vi sono verità assolute ma solo persone che comunicano, ho visto i limiti scomparire o meglio trasformarsi in ricchezza. La dis-abilità di Francesca costituisce un modo diverso di muoversi e di esprimersi, da quello di Paolo. Chi è più abile in quel momento? Impossibile dirlo.
In un mondo dove la diversità è vissuta come ricchezza, i limiti diventano super-abili, diventano un punto di contatto, di congiunzione.

Francesca e Paolo continuano la loro fuga e arrivano ai confini della Contea della Sacra Ruota; lei però non vuole seguire Paolo in quel mondo che non la riconosce. Lui non capisce ma Francesca vuole che vada… "in attesa che le barriere cadranno". Così Paolo si alza in piedi e corre al di là dei confini.
Leggendo l'ultima frase mi sono detta "E finita così?"; mi riesce difficile non immaginare una continuazione. Paolo è fuggito è tornato ad usare le sue gambe, a correre, a saltare, con la consapevolezza che questo gli è però consentito perché c'è un mondo che glielo permette. L'abilità o la disabilità di una persona non è un valore assoluto, ma è una condizione che è determinata da un ambiente specifico.

Ciò che è intrinseco nell'uomo, ciò che sia Paolo che Francesca che, perché no, Giovanni dalle Ruote Nere, hanno dentro di loro è quel desiderio di scavalcare i confini naturali, di esprimersi, di poter mostrare le proprie abilità. Ciò però è potuto avvenire nel romanzo solo attraverso la costruzione di un muro che divide due realtà ribaltate ma che comunque condividono la presenza di abili e disabili.
Il romanzo è finito, ma non è finito. La fine la decidiamo noi e la deciderà Paolo ora che è riuscito ad oltrepassare il limite, ora che porta con sé una faccia opposta, ma altrettanto vera, di mondo.