Pensiero debole e trasformazione

 

Livia Nascimben

A tre giorni dall'incontro in carcere con il filosofo Gianni Vattimo mi sembra di poter comprendere il significato del sottotitolo al convegno: la fragilità delle categorie ontologiche, la responsabilità, il lavoro e il piacere che ne discendono.

La filosofia si occupa dello studio del sapere e delle verità fondamentali delle cognizioni umane. Il concetto di categoria è caro ai filosofi in quanto contiene in sé l'uso del verbo essere.

Le categorie sono modi di rapportarsi alla realtà, forme del giudizio. Indicano quali sono i predicati del soggetto. Sono sezioni in cui si suddivide l'esperienza della realtà, classificazioni secondo un comune predicato.

L'Essere è la prima categoria, è una categoria di sostanza: non vi è relazione fra l'essere e il predicato, si predica l'essere del soggetto, gli si attribuisce un'essenza.

Heiddegger in "Essere e tempo" (1927) si chiede se la nostra esistenza si possa definire essere se, come sostenevano i Positivisti, ciò che è sono solo i risultati delle scienze; i sentimenti, la speranza, le paure non sono misurabili ma non vi è dubbio che costituiscano l'essenza dell'esistenza umana.

Agli inizi del '900 i sentimenti contano poco, la società si è razionalizzata.
Ma se l'essere è soltanto ciò che è misurabile, allora io non sono? Forse ciò che si pensa dell'essere non è corretto!

L'essere non può essere qualcosa di dato, di oggettivo, è altro: l'essere è tempo. L'essere non indica la stabilità della presenza ma la sua temporalità: si vede come stanno le cose attraverso un progetto, altrimenti si dimentica tutto il processo che c'è alla base dell'esistenza di una determinata cosa.

Nelle scienze contemporanee si cercano formule e costanti in relazione ad un progetto sociale, politico; non c'è la passione per la Verità ma per la costruzione di progetti.

Il pensiero debole è una modalità di pensare l'Essere come temporalità storica, la presenza diviene solo un momento all'interno di un progetto.

Da Platone ad oggi si è svelato il carattere temporale dell'essere: ciò che è, è all'interno di un progetto temporale. Col tempo si sono "consumate" le categorie: nel Medio Evo si poteva far riferimento solo ad Aristotele e al Cristianesimo e conseguentemente si pensava che la Verità risiedesse nel loro pensiero; con gli anni si sono aggiunti nuovi pensieri e diversi punti di vista, ci si è resi conto che non esiste un essere sempre uguale, l'essere si presenta in diversi modi.

Il pensiero debole è una teoria forte dell'indebolimento delle categorie come unica via di emancipazione: non si può parlare dell'essere se non all'interno di processi storici; il processo di indebolimento riguarda la riduzione delle pretese assolute delle categorie ontologiche (modi di rapportarsi a ciò che è).

Il discorso sull'indebolimento coinvolge tutti i campi di vita individuale e collettiva.

E' vero ciò di cui ci mettiamo d'accordo: condividiamo gli schemi mentali di un determinato pensiero che appartiene a un contesto che ha certe premesse. Condividiamo una cultura e all'interno di questa ne condividiamo i paradigmi (le strutture esemplari). L'accordo rappresenta la scoperta della "verità".

Verifichiamo una verità in funzione di un'appartenenza preliminare che utilizziamo per mettere in discussione un'idea, per esaminarne le ragioni e prenderne le distanze. Non troviamo un'altra verità ma un'altra categoria di pensiero a cui vogliamo appartenere. Verità e falsità non sono scelte oggettive ma rispondono a criteri interni.

Una società "giusta" riesce ad accettare al suo interno più stili di vita diversi.
Il pensiero debole racchiude nella categoria della progettualità molte aspetti imperfetti del reale che verrebbero scartati o tenuti altrimenti nascosti.

Il professor Aparo ha sottolineato l'importanza che il filosofo Vattimo ha attribuito alla dimensione della progettualità nel processo di indebolimento delle categorie ontologiche: si è nel divenire di un progetto; le cose non sono definite in assoluto ma in relazione a ciò che con queste si fa.

Non esiste l'assoluto, non esistono persone che possano dichiarare verità eterne, noi non possiamo far riferimento a queste verità, ma allora come ci poniamo di fronte alla realtà?

Il Gruppo della Trasgressione insieme a cittadini comuni, professionisti di vari settori e all'istituzione carcere, cerca di smontare categorie assunte come assolute, di svitare cardini che individuano, ad esempio, il bene fuori dalle mura e il male dentro, costruendo un pensiero che permetta di riconoscersi, di non sentirsi persi senza punti di riferimento.

Le cose si riconoscono anche in riferimento alle categorie cui si appartiene e si fa riferimento, importante è tener presente che esistono molte categorie e schieramenti, che le realtà sono molteplici. Ognuno deve cercare il modo di riconoscersi all'interno di un progetto, cercare di fornirsi di strumenti utili per confrontare le diverse categorie e fare in modo che dal confronto si possa vivere corresponsabilmente e non come parassiti gli uni degli altri. Fare riferimento al pensiero debole ci aiuta a valorizzare il pluralismo e la molteplicità delle culture.

Questi, secondo me, sono gli elementi, offerti da Vattimo e restituitici dal Prof., necessari a comprendere il sottotitolo dato al convegno (e altri sono stati gli spunti di riflessione che qui non ho riportato).

La presenza di ognuno al convegno, e quindi di detenuti, studenti, cittadini comuni e agenti, si inserisce all'interno di un progetto: favorire la comunicazione fra dentro e fuori le mura, fra parti di realtà tenute separate da mura interne ed esterne all'individuo.

Penso sia importante che i partecipanti ai convegni contribuiscano alla loro realizzazione, non solo con la presenza, ma portando un pensiero, un'idea, un dubbio, un timore o qualsiasi altro elemento che possa arricchire la comunicazione: si sente propria un'idea quando hai contribuito a costruirla, ti riconosci in progetto se hai collaborato attivamente alla sua attuazione.

Lavorare per cercare di mettere insieme mattoni utili per costruire un pensiero in cui riconoscersi costa impegno, fatica e costanza e spesso è doloroso perché ci si può trovare di fronte a parti oscure e difficili da accettare, come possono essere per la società un detenuto e per il singolo individuo parti di sé arcaiche o poco cresciute che reclamano il loro diritto di essere riconosciute in quanto portatrici di bisogni.

E' responsabilità di ognuno offrire alle diverse parti in gioco la possibilità di esprimersi; è un lavoro faticoso mettersi in discussione e scardinare le proprie certezze in vista di orizzonti sconosciuti ma più ampi; il piacere consiste nel guadagnare maggior spazio per poter esprimere se stessi e le proprie potenzialità in modo creativo senza negare le parti di sé più imperfette.

Spesso a lezione, l'anno scorso, abbiamo detto che un sintomo, come un comportamento deviante, nasconde una domanda, costituisce un compromesso per la persona fra la necessità di farsi avanti e tirarsi indietro, nascondersi e farsi vedere, essere autonomi e avere bisogno di dipendere.. quando non si hanno gli strumenti per articolare i propri conflitti in un discorso che permetta di individuare un progetto per risolverli.

Abbandonare un sintomo, o un comportamento deviante usato come stampella, e camminare con le proprie gambe non è né semplice né immediato: costa fatica, lavoro, in un certo senso è come se si dovesse abbandonare un pensiero forte, "lavarmi 100 volte al giorno le mani o rubare una macchina al dì, mi aiuta a tenere a bada le mie ansie e mi tiene lontano dalla fatica di dover gestire le mie difficoltà e i miei limiti, se poi anche mi costringe a vivere nella clandestinità, poco importa, un prezzo è da pagare!"; lasciare le proprie certezze per qualcosa d'altro che non conosci ma a cui aspiri per sentirti libero implica il sentirsi insicuri sul proprio futuro, non hai più la certezza di giornate passate in compagnia dei tuoi riti, ti senti fragile, non sai cosa troverai dietro al muro: un altro muro, forse; ma se vuoi riuscire a star bene con te stesso e con gli altri non hai altra scelta se non quella di assumerti la responsabilità della tua vita, di ciò che hai fatto e di ciò che farai e lavorare per riuscire a riconoscerti al di fuori delle tue difficoltà.

E' faticoso abbandonare le proprie certezze, per quanto distorte possano essere le percepisci come rassicuranti, spesso non rendendoti conto che tenere nettamente separato il bene dal male limita i tuoi orizzonti e la possibilità di agire in modo trasformativo sulla realtà ..ma questo lo scopri quando la comunicazione fra le parti è stata avviata.

Ciò detto, mi rimane una domanda: dire che non esistono assolutismi e pensieri forti non è di per sé affermare qualcosa inserendola in una categoria?
Noi lavoriamo a questo progetto perché siamo fortemente convinti della sua validità, ma allora ogni pensiero nel tempo non diviene un pensiero forte? O un pensiero debole non si può mai contrapporre ad uno forte e i confini fra i due sfumano, così come tracciare una linea netta di confine fra il bene e il male porta ad un impoverimento tanto dell'individuo quanto della società?