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Il suicidio? Lo affermo: è una fuga!

 

Livia Nascimben


Ciao Antonella,

ieri sera dopo cena ho aperto la posta e ho letto la tua prima mail e ti ho risposto penso nella maniera più impulsiva che potessi fare. E anche oggi, temo, sarà lo stesso: il signor Giovanni si è buttato da una finestra che dava sul viale Monza, la mia amica si è lanciata da una finestra che dava sul viale Monza e ogni volta che passo da lì ho davanti agli occhi l'immagine del suo volto e l'immagine, che mi sono costruita, del suo corpo schiantato a terra; mi resta molto difficile pensare che il suicidio nasconda qualcosa di positivo, per chi vi assiste impotente, intendo, non per chi lo attua, che SI ILLUDE di aver trovato la soluzione alla sua soffocante angoscia di dover continuare a vivere una vita che percepisce come estranea.

Disordinatamente, in questo momento, mi passano mille pensieri per la testa e li lascio scorrere.. disordinatamente

Sai, penso occorra più coraggio ad affrontare a testa alta i mostri che hai costruito tu, complice l'ambiente circostante, e che ti rendono la vita insopportabile, piuttosto che a fuggire da se stessi e dagli altri suicidandosi.

"Come poteva fuggire il signor Giovanni se il nemico era dentro di sé?" Eliminando il nemico, eliminando se stesso, questa gli è sembrata l'unica via di scampo. E' fuggito dalla sua parte "buona", è fuggito dall'idea di dover affrontare un dolore insormontabile.

"Quando si fugge, lo scopo è sopravvivere, metti in moto tutte le tue risorse fisiche e psichiche per difendere qualcosa che è vitale per te stesso."

Forse per il signor Giovanni lo spazio entro cui vivere era talmente collassato, la PERCEZIONE SOGGETTIVA dello spazio si era talmente deteriorata che, dalla "piattaforma" delle sue scelte, gli è restato solo il posto per appoggiare la punta del piede con cui si è dato la spinta per saltare nel vuoto assoluto, la morte. In questo senso per me fuggire, suicidandosi, è stato, nell'ormai implosa capacità di rappresentazione, difendersi dalla sofferenza.

Suicidarsi non è una "reazione automatica"? Sì, però potrebbe diventare automatica se per automatico intendiamo "qualcosa che si compie meccanicamente" nel senso di qualcosa che compi senza pensarci.

"Per compiere un gesto del genere è necessaria una consapevolezza tragica, una MACROSCELTA che deriva da una serie di strade imboccate."

Una tragica consapevolezza? No, non ci credo, non è possibile.. E' necessaria una tragica consapevolezza DISTORTA della realtà e di ciò che si è stati, si è e si potrebbe diventare; e che ti ha portato a quella dannata macroscelta "coccolata" per giorni e giorni, per mesi, per anni..

L'uomo ha sempre dei margini di scelta e non possiede mai completamente le sue scelte, è questo che stiamo dicendo?

Al momento del salto nel buio, penso ci sia la stessa capacità di intendere e volere che abbia una persona che ne uccide un'altra.

Cosa significa che l'istinto di sopravvivenza è innato? Quante accezioni di morte esistono? La sensazione di morte dell'anima può farti percepire la morte del corpo insignificante? Ci sono persone che ogni giorno decidono di morire in un lento e silenzioso suicidio torturando la propria persona, impedendole di esprimersi, incapaci di reagire e aspettando che succeda qualcosa che porti a decidere di darci un taglio, in positivo o in negativo dipende da ciò che dal tuo spazio angusto riesci ancora a scorgere.

Negli "obiettivi del corso" si legge che la condotta deviante è stata indagata a partire da questa premessa: "il reato è l'abuso di potere sulla libertà dell'altro che nasce dalla sensazione di non sapere/potere/volere rintracciare nella realtà i mezzi per dare espressione alle proprie istanze costruttive"

A me viene da dire che il suicidio è l'abuso di potere su te stesso e sulla tua libertà, che nasce dalla sensazione di non sapere/potere/volere rintracciare nella realtà i mezzi per dare espressione alle proprie istanze costruttive.

Ma c'è qualcosa di diverso: in un caso cerchi di annientare te stesso proiettato nell'Altro; suicidandoti vedi in te stesso solo il male e cerchi di sconfiggerlo distruggendoti. In un caso poni la tua "domanda male assemblata a un interlocutore dall'identità confusa", nell'altro poni una domanda di riconoscimento e legittimazione se il tuo tentativo di suicidio rimane tale, altrimenti, secondo me, se raggiungi la morte, non poni nessuna domanda; affermi, un'altra volta in maniera male assemblata, che qualcosa è andato storto nel tuo percorso di crescita, che chi ti doveva proteggere non lo ha fatto e che non c'è (perché non lo hai sentito) più possibilità di recupero... sì, mandi una comunicazione, ma a una domanda si può cercare di rispondere, ad un'affermazione a cui fai seguire un punto definitivo, no.

Con questo non sto dicendo che sia meglio ammazzare piuttosto che ammazzarsi, anzi, condanno entrambi questi comportamenti che non rispettano il valore della vita umana.

"Il signor Giovanni è scappato in un paese straniero senza lasciare alcuna traccia di sé?" No, la traccia l'ha lasciata, era quello che voleva, noi ora stiamo parlando di lui, i suoi parenti probabilmente si stanno o si sono interrogati sul perché si sia potuti arrivare a una conclusione così drammatica, chi ha ascoltato la notizia al telegiornale forse qualche pensiero lo ha dedicato al signor Giovanni..

Io mi chiedo: le modalità con cui una persona potenzialmente potrebbe suicidarsi sono le più disparate, perché una persona "sceglie" di buttarsi da una finestra, da un ponte, sotto un treno e non di ammazzarsi con gli psicofarmaci o tagliandosi le vene? A me viene da dire che, visto che comunque devi compiere un gesto contro natura, farlo in un modo piuttosto che in altro ti lascia o meno un margine di scelta per ritornare indietro, saltare è una questione di un attimo, morire dissanguato o aspettare che il tuo organismo assorba i principi attivi contenuti nei farmaci lascia la possibilità all'istinto di sopravvivenza di prendere il sopravvento e a te la possibilità di chiedere aiuto.

Sfidi la morte per dimostrarti che se puoi morire allora significa che eri, o sei se puoi ancora pensarlo, vivo anche se da tempo non ti sentivi più tale?

"Un'ennesima sconfitta?" SI', UNA SCONFITTA. La sconfitta per eccellenza, l'ultima con la quale esci da gioco. Quando giochi con gli amici o sei impegnato in una competizione, a volte, ritirarsi è indice di forza, di estrema considerazione dei propri limiti e della necessità di conservare la propria integrità per meglio impiegare in futuro le proprie risorse: fermarsi durante una corsa perché si ha un dolore a un muscolo significa, sicuramente non vincere, ma avere la possibilità di ripresentarsi, magari più allenati, alla corsa successiva; voler continuare a tutti i costi probabilmente significa infortunarsi una gamba e star fermo dei mesi per riprendersi e impiegare poi più tempo e energie a raggiungere una forma ottimale. Col suicidio ti chiudi, una volta per tutte, nella tua sconfitta e nell'incapacità di metterti in gioco in modo costruttivo o di cogliere nella sconfitta uno spunto per migliorarti.

Non so.. davvero non riesco a sentire che ci sia qualcosa di positivo o di meno predominante della fuga nel suicidio, non lo trovo, se la mia amica fosse qui la strozzerei! Razionalmente mi rendo conto che le sfaccettature della questione siano molte e che io colga quella a me più vicina e forse pure la più ovvia, in questo momento mi sento però troppo coinvolta per vederne delle altre.

Hai concluso la tua lettera, chiedendoti "…un'ennesima sconfitta??? Con la tua domanda ti lasci aperte delle strade, mentre io ho scelto di percorrerne una in particolare, quella che legge il suicidio come una fuga, e forse in questo modo sto limitando i miei orizzonti, anche se penso che chiacchierare con te significhi mettere in atto quella cosa che ha scritto il Prof. quando diceva che ognuno di noi "ha la responsabilità di allevare e accudire oggi la libertà personale di cui si disporrà domani".


Ciao, Livia