Dialogo e comunicazione nella Realtà del carcere

Livia Nascimben

17-10-2006  

3° Incontro tra il Gruppo della Trasgressione
e gli Studenti dell'Istituto Alberghiero Carlo Porta

Classi ID-IID-IIIBT-IVDR-VBR


Aparo: Buongiorno, oggi gli studenti del Carlo Porta incontrano i membri del Gruppo della Trasgressione. Il gruppo, per lavorare, ha bisogno di rivolgere delle domande, per comodità agli studenti delle prime tre file; chi non tollera il rischio di rispondere, si alzi e lasci il posto ad altri. Ai membri del gruppo sarà fatto l’esame: abbiamo bisogno di allenarci per un convegno che avremo fra pochi giorni alla Statale di Milano; tutti gli studenti in sala possono fare domande ai membri del gruppo.

I punti su cui ci confrontiamo sono questi:

Le prime file possono interagire con il gruppo come se ne facessero parte, secondo il metodo del gruppo. L’obiettivo è contribuire alla crescita comune e indagare cosa le diverse persone desiderano e temono.

Si parte dal presupposto che ognuno è imperfetto, ognuno è insufficiente a se stesso, ognuno sbaglia e ognuno ha aspirazioni cui tendere. Il gruppo mette insieme aspirazioni e imperfezioni per ricavarne del materiale. Dunque, accomodiamoci, cliccate sulle persone e i punti che accendono la vostra curiosità.

Studente: Che tipo di rapporto ha avuto il detenuto con gli agenti all’inizio della carcerazione e che tipo di rapporto ha oggi?

Aparo: A quale punto fa riferimento?

Studente: Al rapporto con l’autorità.

Aparo: Benissimo, abbiamo capito il gioco!

Enzo (detenuto): Quando entri in galera sei molto arrabbiato, vedi una divisa e ti arrabbi. Con il passare del tempo ti accorgi che dentro la divisa c’è un uomo con cui poter instaurare una relazione. Se avessi intuito prima che in ogni autorità c’è una persona probabilmente non sarei entrato in carcere.

Studente: Vorrei spiegazioni sul concetto del giro corto e del giro lungo.

Giovanni (neolaureato in Psicologia): Ogni uomo va verso le proprie aspirazioni. Durante il percorso si scontra con i limiti e gli ostacoli della realtà. Al momento della difficoltà può prendere diversi percorsi: il giro corto, più veloce, rappresenta una scorciatoia per raggiungere l’obiettivo; il giro lungo, più lento, ti dà più soddisfazioni. Il giro corto è credere di essere adulti, il giro lungo è diventarlo.

Studente: Non ho molto ben capito, qualcun altro può spiegarmi il concetto?

Gabriele (ex detenuto): Ogni persona cerca delle gratificazioni, per raggiungere i propri obbiettivi si hanno due scelte. Il giro corto è la strada più facile e meno impegnativa, usi espedienti, anche illeciti, per avere ciò che desideri. Il giro lungo prevede più fatica e costanza, è più ricco, ti dà più soddisfazioni, ti fa vivere più esperienze. Facciamo un esempio: da ragazzo desideravo una bicicletta, invece di conquistarla con buoni voti a scuola (giro lungo) andavo in strada e la rubavo (giro corto).

Dino (detenuto in art.21, misura alternativa che prevede che il detenuto stia fuori dal carcere durante la giornata per lavorare e rientri la sera in carcere): Aggiungo che il giro corto comporta il non riconoscimento degli altri. Il giro lungo è più complicato da fare. Ad esempio, se vai al cinema e c’è la coda per acquistare il biglietto aspetti il tuo turno (giro lungo) anziché fingere che gli altri non ci siano e passare davanti a tutti (giro corto).

Studente: Chiedo spiegazioni sul concetto della brocca rotta.

Ivano (detenuto): L’adolescente ha dei sogni e desidera realizzarli, il mio sogno era diventare un giocatore di calcio professionista. Nel mio sogno ero bravo, giocavo nella primavera del Milan, ma non ho tenuto conto delle difficoltà e sono caduto. Ho rotto la brocca dei sogni rimanendo deluso e non sono riuscito ad alzarmi. La brocca non sono riuscito ad aggiustarla, ho intrapreso il giro corto sentendomi gratificato dai soldi facili ma andando incontro al carcere. Ho rotto molte brocche ed ora sto cercando gli attrezzi per aggiustarle.

Studente: Qual è il rapporto del detenuto con i figli?

Enzo: Ho due figli che oggi hanno 12 e 17 anni. Li ho lasciati che avevano 6 anni l’uno ed 8 mesi l’altro. Il più grande all’inizio della mia carcerazione era molto arrabbiato con me, avevamo difficoltà a dialogare; con il tempo, attraverso gli scritti che comparivano nel sito del gruppo, ha visto che mi impegnavo nel lavoro, che studiavo (sono al secondo anno di ragioneria) e che tendevo a cambiare mentalità ed ora parliamo di più assieme. Il più piccolo è cresciuto senza padre, solo adesso comincia ad accorgersi della mia mancanza.  

Studente: Cosa si intende per rapporto con l’imperfezione?

Giampietro (pensionato): Sono così immerso nella imperfezione che mi viene difficile recuperarne il filo; rischio di fare affermazioni astratte. Ho iniziato da adolescente ad avere imperfezioni ed ho proseguito nella vita adulta. Sono qui oggi perché mi viene spontaneo riflettermi nello specchio e vedere negli altri le mie imperfezioni, quelle che altrimenti mi viene difficile riconoscere in me.

Studente: Come ti sei trovato una volta uscito dal carcere?

Aparo: Non so quanto sia pertinente questa domanda con i 5 punti.

Dino: E’ pertinente, ha a che fare con l’imperfezione!

Aparo: Capisco, è divertente trovare collegamenti!

Dino: In carcere non ci si rende conto di tante cose perché sei isolato e protetto dall’Istituzione. Fuori devi fare i conti e risolvere le difficoltà quotidiane, hai la necessità di trovare persone, non importa se oneste o delinquenti, con cui relazionarti e ti accorgi che la tua immagine, costruita nella solitudine del carcere, non è la stessa che appare nel confronto con gli altri.

Studente: Quale è il rapporto tra i detenuti del carcere?

Gabriele: In spazi molto piccoli i tuoi limiti sono messi alla prova e in diverse occasioni ci si scontra.

Studente: Quale sarà il rapporto con i tuoi figli una volta uscito dal carcere?

Enzo: Ho il desiderio di dormire nel lettone assieme a loro, come fossero ancora piccoli. Se hai una famiglia che ti aspetta fuori, puoi iniziare a sognare, altrimenti parti svantaggiato. Poco tempo fa ho mangiato assieme alla mia famiglia dopo 10 anni e mezzo di carcerazione, mi sentivo inadeguato, non sapevo cosa fare, se, ad esempio, tagliare la carne ai miei figli oppure no, non sapevo cosa chiedere, mi vergognavo.

Studente: Il carcere come istituzione può essere una colla utile per ricostruire la brocca rotta?

Dino: In linea teorica è possibile ma il carcere non è una realtà omogenea, non tutti hanno le stesse opportunità di crescere e svolgere attività utili a cercare di apprendere come non rompere altre brocche. Il carcere di norma tiene separati i detenuti dalla società civile ma negli ultimi anni le porte si sono aperte, c’è scambio tra il dentro ed il fuori come dimostra questa iniziativa voluta dalla Istituzione carcere e dalla Istituzione scuola.

Cinzia (laureanda in Giurisprudenza): Il carcere dovrebbe essere una colla, lo prevede la legge, la pena deve tendere alla rieducazione del condannato ma è un obbiettivo difficile da concretizzare, pochi sono gli strumenti a disposizione. Nel gruppo si crea una colla, attraverso lo scambio reciproco diminuiscono le distanze, ci si evolve insieme, si crea un collante per mettere insieme i cocci rotti di tutti, detenuti e studenti.

Studente: Come mai si è rotta la brocca?

Livia (laureanda in Psicologia): Nella mia esperienza ho percepito che la brocca era rotta quando ho avuto i cocci in mano, non ho sentito che si stava progressivamente rompendo, è difficile dire come mai si è rotta.

Aparo: La domanda è magnifica ma è difficile recuperare il percorso che ha portato alla rottura della brocca, è più facile recuperare immagini di brocche rotte.

Livia: La mia brocca più rotta la identifico nell’armatura del silenzio. Alle superiori ma anche dopo mi sono chiusa nel silenzio. Il silenzio mi faceva sentire potente, decidevo io a quale distanza tenere gli altri e mi proteggevo dalle mie emozioni, ma c’era una controindicazione: tanto ero abituata al silenzio che non riuscivo più a parlare quando lo desideravo. Ad esempio, alle interrogazioni avevo l’interesse a parlare, invece me ne stavo nella mia armatura e prendevo brutti voti, fortunatamente c’erano gli scritti a compensare.

Studente (lo stesso che ha posto la domanda): La brocca rotta io non c’è l’ho ancora e spero non mi si rompa. Anche io mi sono chiuso nel silenzio, un tempo non parlavo, quel momento però l’ho superato e ora parlo!

Studente: Come hanno reagito i genitori di fronte alla trasgressione?

Gabriele: A 14 anni ho rubato una 500 per il gusto di andare a guidare in campagna. La polizia mi ha beccato e sono stato al carcere minorile Beccaria. Mia madre ha reagito con compassione, sorpresa e disperazione. Ha reagito con giri corti ed io pure. Finita quella pena ho continuato a sfidare l’autorità e a trasgredire.

Aparo: E adesso possiamo rivolgere una domanda a voi studenti: cosa si attendono i figli dai genitori? E cosa i figli credono che i genitori si aspettino da loro?

Studente: Mi aspetto che i miei genitori mi mantengano, però è vero che se lavorassi avrei più soddisfazioni. Mi aspetto anche che abbiano fiducia in me.

Studente: I genitori si aspettano il massimo, che tu mantenga una buona condotta, che racconti loro ciò che sei e senti, che non cambi una volta fuori casa e che li rispetti.

Studente: I genitori dai figli e i figli dai genitori si aspettano di non ricevere sofferenza, delusioni, violenza.

Aparo: Di solito si pensa a ciò che si desidera e non a ciò che non si desidera o a ciò che si desidera evitare.

Studente: Tra genitori e figli c’è amore. Il genitore appoggia sempre i figli, anche quando sbagliano, chiede rispetto e dimostrazione di affetto.

Studente: I miei genitori si aspettano che io abbia un’identità, che sappia essere qualcuno, una persona di cui avere fiducia, capace di socializzare, con un buon comportamento e una cultura propria.

Studente: I genitori dicono di non tradirli, ma sanno che i figli non dicono tutto a casa. Desiderano che tu non menta su ciò che sei e vuoi fare. I figli devono cercare di dire ai genitori le proprie paure (in qualche modo, se non si vuole farlo esplicitamente) perché i genitori rappresentano l’unica speranza per tirarti fuori dalle brutte situazioni. I figli devono dimostrare di sapersi introdurre nella società. Gli errori si commettono ma poi maturi. Io avevo creato un muro tra me e gli altri, ero diventato aggressivo, un po’ arrogante ma non troppo, ero silenzioso e la mia famiglia mi ha aiutato.

Lettura dello scritto “Il muro”, di Dimitar Georgiev (ex detenuto).

Studente: Ad Enzo chiedo come reagiresti se i tuoi figli si trovassero in carcere con te?

Enzo: E’ il genitore che deve fare in modo che ciò non avvenga. Se dal carcere non do indicazioni corrette su come risolvere le difficoltà, sono casini. Se il padre ha una mentalità delinquenziale, la trasmette ai figli. Io ai miei figli parlo di scienze, di quello che studio, della vita che faccio ora, non della vita di prima. Vi faccio un esempio: mio figlio minore voleva un PC, io non ho soldi per comprarlo ma avevo un PC in cella e glielo ho fatto avere. Il PC potevo trovarlo, come si dice, nel “giro” ma non mi sarei sentito moralmente a posto… e se poi la polizia avesse in qualche modo scoperto che il PC era rubato e lo avesse sequestrato? I miei figli avrebbero avuto di me un’altra immagine negativa e avrebbero maturato l’idea che la polizia è cattiva ma in realtà ad essere stato cattivo sarebbe stato loro padre.

Studente: I sogni che c’erano prima della carcerazione si mantengono anche dopo l’esperienza del carcere? Se no, come e perché cambiano?

Vito (detenuto): I sogni cambiano anche se non vai in carcere perché l’uomo matura e di conseguenza i sogni cambiano. Prima pensavo di essere il più di tutto, pensavo addirittura che i sogni sarebbero venuti a me, invece è stato un disastro. Per raggiungere i sogni occorre fare sacrifici, il giro lungo; e intanto che cerchi di raggiungere il tuo sogno ti convinci che devi essere tu a realizzarlo. Nel giro corto invece hai l’illusione di raggiungere i tuoi sogni e non ti accorgi che quelli non sono più i tuoi sogni. Se ti si prospetta la strada più corta la prendi perché credi che sia più facile ma è anche la strada più disastrosa, pensi alla tua felicità e calpesti quella degli altri. E’ importante imparare a conoscere i propri limiti: non tutte le voglie possono essere soddisfatte.

Uno studente del Carlo Porta legge lo scritto “Quanti sogni” di Vito Cattaneo.

Studente: Come la famiglia e gli amici hanno accolto il lavoro al gruppo?

Silvia (laureanda in Psicologia): Mio padre mi diceva: “Lavoro 8 ore al giorno e il sabato ho piacere di stare con te, non capisco come mai tu preferisci andare in carcere.” Poco alla volta gli ho fatto conoscere la mia attività e oggi è contento che io frequenti il gruppo. I genitori sono da coinvolgere perché si appassionino anche loro a ciò che fai. Sapere comunicare ciò in cui si crede accorcia le distanze e aiuta a farti sostenere nei sogni che hai.

Studente: I figli dei detenuti come si devono comportare se gli viene chiesto dov’è il padre?

Enzo: E’ un problema. C’è la resistenza a dire che il padre è in carcere, solitamente si dice che è all’estero o è malato. I miei figli mi hanno posto anche loro questa domanda. Ho detto loro di rispondere quello che si sentono, a volte le bugie proteggono. Ho lasciato la libera scelta e loro spesso hanno detto che lavoro all’estero. Un giorno avevo ottenuto il permesso per andare a casa, li ho avvertiti che sarei arrivato con il furgone della polizia penitenziaria e non sapevo se mi avrebbero fatto scendere dietro casa o sotto il nostro balcone, in tal caso tutti avrebbero potuto vedere che sono detenuto. I miei figli mi hanno risposto: “Non ci interessa, l’importante è che torni a casa!”.

Studente: Perché il carcere cambia?

Gabriele: Il carcere ha aperto un ponte con l’esterno, non sei più isolato dalla società, ma è soprattutto nella testa che devi cambiare: se non vuoi usare uno strumento quello rimane lì ad invecchiare, è una scelta soggettiva quella di voler cambiare.

Dino: Il carcere amplifica i sentimenti distruttivi. Da qualche anno e per desiderio di figure istituzionali vengono promosse attività dentro e fuori dal carcere che favoriscono la crescita personale.

Enzo: Non voglio farvi la morale, dico solo di riflettere sulle strade che prendete. Le risposte sono nella famiglia, se la famiglia può darti sostegno, ma si possono cercarle anche nel professore o nell’allenatore. Non cercate le risposte in chi vi dà tutto e subito, cercatele in chi vi fa lavorare.  

Daniela Marasco (membro del gruppo e insegnante del Carlo Porta): Ringrazio tutti per l’attenzione e la collaborazione. Se lo desiderate la comunicazione con il gruppo può continuare, se nei prossimi giorni avrete scritti da mandare in carcere, il gruppo sarà contento di riceverli e rispondere.