Le sfide della creatività

Martedì 14 Maggio 2002

di Renato Minore

AMERICANO che tutti chiamano Doug, che parla un italiano fluente e creativo, pertinente e fantasioso («tutta colpa di "Volare", la sentii a diciassette anni e fui catturato da quel suono e da quel ritmo, decisi di imparare la lingua di Dante e di Modugno») è il mitico mister Geb. Dal nome del suo best-seller Godel, Escher e Bach, un milione di copie vendute nel mondo. Ovvero il professore Douglas Hofstadter, cinquantasettenne docente di Scienza cognitiva, Scienza del computer, Psicologia, Filosofia e Letteratura comparata presso l’Università dell’Indiana, a Bloomington. Un vulcanico scienziato che sa tutto sulle analogie, le induzioni, le deduzioni che si svolgono all’interno della mente e alimentano la conoscenza del linguaggio e della scrittura, nel rapporto tra computer e cervello. A Bologna Doug parlerà domani di atomi, ma di quelli di Lucrezio, e mostrerà un ambigramma dedicato all’autore latino. Parole che si possono leggere indifferentemente da destra e da sinistra, che si possono ruotare, capovolgere, riflettere in uno specchio, gli ambigrammi sono la sua specialità: ne ha inventati a migliaia e continua a farlo a getto continuo.

Prof. Hofstadter, Lucrezio stabilisce un’analogia tra le lettere e gli atomi. Il cosmo è per lui leggibile come un testo. Diversa e lontana è la parola di un classico: dentro un mondo dominato dalle macchine, dal computer, in cosa è attuale la sua parola che ha decifrato la connaturalità cosmica dell’uomo?
«Cerca di trovare un po’ di speranze per tutti. Allora tutti credevano negli Dei e avevano paura di morire. Lui trova il segreto della non paura della morte. Non esistono gli Dei, o comunque non bisogna aver paura di loro. Tutto dipende dal mondo degli atomi, dalle particelle infinitesimali che cadono, si toccano. Lucrezio è un ateo coerente con i nostri tempi: ovviamente oggi ci sono tantissime persone che credono nella religione tradizionale, anche se cala la religiosità più forte, il credere alla lettera».

Oggi la divinità può essere rappresentata dal computer. A suo avviso esso può fare tutto ciò che fa una persona (e meglio), una volta individuate le regole?
«Certamente, nei domini come il calcolo aritmetico. Ci sono altri domini però dove è possibile creare una serie di regole. Prendiamo gli scacchi. Per decenni è sembrato che la forza della mente fosse più forte del computer. Ma era come il mare, si poteva misurare l’altezza crescente delle onde. La forza del computer si alzava rapidamente. L’intelligenza sembrava invincibile, non lo era».

Il computer che dà scacco matto è stata una scoperta sulla mente umana o semplicemente sul gioco degli scacchi?
«Ci sono due modi di procedere in programmi del genere. Il modo che coinvolge un’intelligenza vera, con tutta la flessibilità necessaria. E un altro molto rigido che funziona perché gli scacchi si giocano su una scacchiera finita, limitata, che coinvolge un numero di mosse non insuperabile, con un programma dalla velocità sufficiente. Si scoprono altri domini, piccoli o più grandi, dove i computer possono superare la mente umana. Ci si sorprende, ma non è che abbiamo scoperto come funziona la mente umana. In ogni campo c’è gente che pretende di dire: abbiamo scoperto tutto, non abbiamo più niente da fare. Tra dieci anni avremo dei computer che ci supereranno in ogni modo possibile? Non lo credo. Sono pretese totalmente assurde».

Si può modellizzare un processo creativo nel computer? Come può un computer riprodurre i processi di riorganizzazione e di reinterpretazione che hanno luogo nel pensiero creativo? Lei si è specializzato in ambigrammi...
«Per capire la creatività e centrare quella che io chiamo scopritività, in inglese discoverability. La creatività è la scoperta di cose nascoste. Per scoprirle bisogna farlo in maniera molto sottile, con una flessibilità di percezione. Come appunto negli ambigrammi. Mercoledì sera, per Lucrezio farò un ambigramma che, quando si vede da un lato, si legge "De rerum natura". Poi, giro il lucido, e si legge "T. Lucretius Carus"».

Nell’ambigramma le lettere diventano altre lettere, parole che si possono leggere indifferentemente da destra e da sinistra...
«E’ l’esempio della percezione creativa: ogni lettera è diventata qualcosa d’altro. La forza della mente umana è vedere varianti, cose che non sono ancora lì, piccoli o grandi cambiamenti che mantengono l’essenza della cosa che però nei dettagli cambia. Questa percezione creativa dà luogo alle analogie, alle intuizioni creative. Modellizzare è molto difficile...».

La creatività non è interamente riconducibile a formule a algoritmi matematici ma non nasce dal nulla. Lei sostiene che nasce sempre dentro certi vincoli?
«I vincoli stringono e stimolano la creatività. Creo lettere storte, strane, creative: non le avrei mai inventate senza il vincolo di doverne scriverne due alla volta. Quando proviamo a modellizzare la creatività, la riduciamo ad un insieme di regole. Non regole deterministiche ma descrizioni di concetti, di collegamenti. E’ come un formicaio. Migliaia, milioni di cose piccolissime creano grandi azioni. Con i corpi delle formiche un formicaio può creare un ponte fisico. Le formiche si muovono casualmente, ma le statistiche creano il ponte o altre strutture architetturali. Così l’intelligenza, la creatività, vengono dalle statistiche, un’idea simile c’è in Lucrezio...».

La magia della vita, delle cose macroscopiche deriva dal fatto che sotto ci sono cose invisibili?
«Sono le "statistiche" di quel mondo invisibile che producono la ricchezza del mondo macroscopico. Ci sono interazioni. Fuori di metafora: non atomi né formiche, ma eventi così piccoli che non hanno grandi conseguenze. Dopo migliaia di queste piccole azioni, il prodotto dà luogo a piccole mutazioni a livello macroscopico. La creatività non proviene da regole matematiche, fisse, ma da qualcosa che somiglia proprio al mio formicaio...»

Il computer ha riprodotto musiche famose, famosissime. Fino a che punto si può parlare di una sua creatività?
«Il programma Emi estrae lo stile dai brani. Può riprodurre Bach e anche Hofstadter. Anch’io infatti ho composto piccoli pezzi per pianoforte, Emi ha provato ad imitare il mio stile. Sono stato sorpreso dal suo livello musicale. Mi ha fatto un po’ paura. Emi prende in prestito piccolissime strutture e fa una struttura nuova. Ma non totalmente nuova, perché quella nuova forma ha qualcosa in comune con lo stile del compositore prescelto. Non c’è evoluzione. Qualsiasi compositore però cambia nel tempo, Emi dipende totalmente da quelle strutture fisse. Non siamo ancora arrivati...».

E’ solo questione di tempo? Si arriverà alla riproduzione di ogni forma creativa? Un computer potrà essere in grado di comporre qualcosa come il "De rerum natura"?
«Sperabilmente no. In questo senso sono ottimista, con ironia. Gli ottimisti in genere pensano a queste meraviglie. Un ottimista come me pensa che la mente umana sia così profonda da sfuggire alla riduzione. L’ottimismo ha a che fare con la profondità delle nostre menti, del nostro spirito. Ma è ancora da vedere se ho ragione io».