I pesci rossi

Dino Duchini

21-02-2004  

Stamattina mi sono alzato con un umore che non riesco bene a definire, da una parte sono stizzito e determinato, dall’altra comprensivo e fatalista. E’ un umore che deriva da fatti quotidiani della vita e dalle relazioni che ne discendono. Sono stizzito, perché mi sento incompreso, vittima di tutta una serie d’egoismi; determinato perché non ho intenzione di lasciare sfumare i significati delle cose accadute; vorrei poter comprendere e credere alla buona fede altrui, ma ho già vissuto diverse delusioni e temo di essere destinato a incontrarne altre ancora.

Stamattina è così… l’umore non accenna a cambiare, mi viene in mente un episodio che mi accadde ancora in tenera età, avevo cinque anni…
Andavo all’asilo, era un asilo moderno, complessivamente ne serbo un buon ricordo, a parte l’episodio che ora vi racconto.

Era una mattina di sole, alta primavera, c’era un tepore piacevole, noi bambini eravamo in classe, chi giocava, chi guardava fuori dalla finestra la splendida giornata, dopo un inverno molto rigido… uno di quegli inverni che a Milano non ci sono più.

La maestra ad un certo punto ci disse se volevamo andare a giocare fuori; l’asilo aveva uno splendido giardino, c’era l’erba, gli alberi, una fontana con sotto una vasca circolare e grande dove nuotavano dei bellissimi pesci rossi, ma non quelli piccolini… erano grossi!

Noi bambini fummo entusiasti di uscire nel tepore della primavera, il sole filtrato dai vetri perdeva molto del suo splendore, e l’aria tra le mura perdeva quella stupenda nettezza che aveva fuori nel giardino.

Uscimmo e ci mettemmo a giocare, a piccoli gruppi, allora io avevo un amichetto con cui andavo molto d’accordo, facevamo molti giochi insieme, e per la verità tendevamo ad isolarci dagli altri, insomma facevamo gruppo da soli!

Quel giorno ci mettemmo a giocare vicino alla fontana, mi ricordo che scavavamo per terra, cercando di costruire qualcosa con il terreno rimosso, lo bagnavamo con l’acqua della fontana e volevamo imitare quelle tipiche costruzioni che i bambini fanno in spiaggia con la sabbia. Il risultato non era molto apprezzabile, la terra era troppo pesante rispetto alla leggerezza che invece la rena fine della spiaggia ha come sua caratteristica.

Cominciavamo ad annoiarci per il fallimento dei nostri tentativi, quando mi venne un’idea… stavo bagnando un po’ di terra dentro la vasca, quando un pesce mi sfiorò la mano; riuscii quasi ad accarezzarlo; proposi allora al mio amichetto di costruire con la terra una vasca nostra, di prendere i pesci rossi e metterli nella nostra vasca, così avremmo potuto giocarci con più facilità, non sarebbero potuti sfuggire come facevano nella vasca grande.

Così facemmo un buco nel terreno, con la terra tolta ne alzammo le pareti e cercammo di riempirlo d’acqua, arrivò la prima frustrazione… il buco si succhiava tutta l’acqua; per quanta ne mettessimo non ci rimaneva che per pochi secondi. Eravamo un po’ stizziti, una bell’idea… tanto lavoro per niente, era veramente fastidioso! Non volevamo rinunciare al nostro gioco con i pesci rossi… era diventato, da desiderio, un bisogno!

Quella mattina, però, dovevo essere particolarmente creativo, oltre che testardo, dissi al mio amichetto che l’unica maniera per riuscire a giocare con i pesci rossi era quella di buttarci noi dentro la vasca; con noi dentro l’effetto sarebbe stato lo stesso che se i pesci rossi fossero stati dentro la vasca che avevamo preparato.

Lui accettò con entusiasmo, io mi sentivo bene, ero fiero della mia idea, al momento di buttarci vidi in lui un’esitazione, gli dissi "guarda mi butto prima io se tu hai paura… però dopo vieni anche tu"; lui mi assicurò che l’avrebbe fatto!

Senza svestirmi, con anche le scarpe, salii sul muretto e… pluff, mi lasciai andare nella vasca, l’acqua mi arrivava all’addome, non era particolarmente fredda, e nessuno aveva ancora visto che ero dentro la vasca. Mi voltai verso il mio amico, lo guardai… vidi che non veniva, lo chiamai avvicinandomi al bordo, mi accorsi che non aveva intenzione di buttarsi… mi sentii tradito da lui, frustrato per il nostro gioco…

Ebbi un impulso fortissimo, era troppo ingiusto quello che mi stava accadendo, mi sentivo ridicolo… lo presi per il collo e cercai di trascinarlo dentro l’acqua, fece resistenza, si mise prima a gridare e poi a piangere, io non mi rendevo conto della sua paura!

Arrivarono le maestre, me lo tolsero dalle mani, mi sgridarono tantissimo mentre mi tiravano fuori dell’acqua… cominciai a piangere. Non ricordo esattamente i sentimenti che provavo, si produsse comunque un bel guaio, furono chiamati i miei genitori, i suoi genitori, la direttrice della scuola che, forse anche lei vittima delle sue paure, era completamente fuori dei gangheri.

Alla fine il decreto fu emesso, tutto era colpa mia, le idee erano mie, la determinazione era mia, il mio amichetto mi aveva solo seguito in questo piano irresponsabile, ma, cosa più grave, fui giudicato prepotente e vendicativo, fui espulso, seppure con il compromesso che tale provvedimento non sarebbe stato registrato ufficialmente.

I miei genitori m’iscrissero ad un altro asilo, questa volta di suore, fatiscente, lontano di casa, e dove ci si annoiava a morte… i guai che combinai, anche in quel posto, li racconterò un'altra volta!
Quello che conta, alla conclusione di questa storiella vera, è che persi il mio amichetto, fui cacciato da un posto dove mi trovavo bene, fui punito dai miei genitori, e forse cominciai a credere d’essere diverso. Forse un bambino normale non avrebbe avuto le idee che ho avuto, forse un bambino normale avrebbe accettato il “tradimento”, forse un bambino normale non si sarebbe adoperato per fare in modo che le cose andassero com’era nei patti. Insomma, volevo giustizia o vendetta?

Non lo so ancora oggi, in mattine come questa l’incontrario dell’irritazione non è la comprensione, ma l’ipocrisia! L’incontrario della determinazione non è il fatalismo, ma la vigliaccheria!

In mattine come questa vorrei essere un poco più idiota, oppure basterebbe essere più menefreghisti, in fin dei conti il santo dei “ciucci” è potente, e pure essere menefreghisti comporta meno responsabilità.
Nel finire mi viene in mente una citazione di Renè Descartes, la condivido solo nella sua prima parte, ma vorrei riuscire a fare mia anche la seconda… forse starei meglio, ma non so se ce la farò mai.

“Vincere piuttosto me stesso,
che la fortuna;
e mutare
i miei desideri piuttosto
che l’ordine del mondo!”

Sono comunque certo che è sopra e dentro di me che devo lavorare, ma si può rinunciare a cercare di mutare l’ordine del mondo?