La scatola di cartone

Eric Bozzato

28-03-2004  

Ricordo all’improvviso un’abitudine che avevo da bambino. Mi piaceva nascondermi dentro alle scatole di cartone e forse era qualcosa di più di una semplice abitudine; so per esperienza che gli psicologi danno mille spiegazioni sensate a questi particolari ricordi d’infanzia; io, avendone sentite troppe di spiegazioni, mi impegno puntualmente a smentirle tutte. Cercare ad ogni costo una logica nelle abitudini dei bambini porta spesso a collegarle alle sventure che si vivono da adulti. Io voglio poterle vivere come piccole antiche magie delle favole, anziché presagi di future sventure. Comunque, tornando alla scatola di cartone, ricordo che era il mio piccolo mondo privato.

Finito di fare la spesa, con cura, ogni sabato ne sceglievo una nuova all’uscita del supermercato. Assillavo mio nonno per caricarne in macchina anche più di una. Puntavo tutte le energie su mio nonno perché sapevo che mia nonna spesso mi negava di portarle a casa, le davano fastidio nel fare le pulizie; mio nonno invece, pur essendo solitamente più rigido di lei, alla fine cedeva sempre; oggi mi piace pensare che da buon vecchio partigiano della guerra, vedeva nella scatola di cartone un gioco umile, uno di quei giochi che gli ricordavano quelli della sua infanzia.

Penso che per qualcosa di più moderno non sarebbe stato cosi accondiscendente, ma questa probabilmente è solo una mia fantasia, ammetto che potrebbe non essere la verità! L’arredavo la mia scatola, facevo finta di essere grande e di avere la mia vita privata, la scatola ovviamente era la mia casa; su un fianco facevo un buco rettangolare di circa 10 cm per 5 e da lì osservavo di nascosto i movimenti dei miei nonni, negli altri lati ci appendevo uno specchio, ritagli che mi piacevano e scritte.

Ogni giorno nascondevo tutti i miei averi (patatine, caramelle, monete e oggetti per me rari) dentro al mio rifugio e frugavo per tutta la casa in cerca di oggetti rari da rubare; uno dei miei preferiti era il filtro del bocchino che usava il mio nonno per fumare. Era fatto di plastica e conteneva tanti sassolini trasparenti che usavo per fare mago merlino; infatti se li mettevi nell’acqua facevano le bollicine, esattamente come oggi la aspirina C.

Passavo giornate intere chiuso lì dentro e ricordo che mia nonna quando mi cercava o mi chiamava, e io mi nascondevo facendo finta di non sentirla, si arrabbiava moltissimo; lei mi chiamava, ma più passavano i mesi e più io diventavo innocentemente sordo. Incredibilmente, dopo varie visite specialistiche, i medici scrissero che necessitavo di un apparecchio per l’udito.

Sono riuscito a rimediare in tempo tornando sanissimo all’improvviso; già allora fu l’esperienza a salvarmi. Infatti l’anno prima, per una nota sul diario che non volevo far firmare a mia nonna, un mio finto dolore di pancia mi aveva portato all’asportazione dell’appendice. I medici furono eccezionali, stavo fingendo spudoratamente di avere dei dolori di pancia per poter marinare la scuola e mi sono ritrovato per 20 giorni in ospedale. Ero cosi pirla che tornato poi a scuola facevo i salti di gioia, perché l’insegnante si era dimenticata della nota da far firmare! Se se ne fosse ricordata sarebbe stata veramente una tragedia.

Beh... ho passato parecchio tempo a divertirmi con la scatola di cartone. Quanto è semplice e bello divertirsi con niente quando sei bambino! Mi ritrovo spiazzato oggi, un po’ più adulto, e la difficoltà nel riuscire a divertirmi ancora; mi dispiace veramente in mezzo a tante possibilità, di non avere più quella semplice e serena capacità che avevo da piccolo!

E penso che oggi la scatola di cartone potrebbe benissimo essere il simbolo della vita di strada che in parte ho vissuto negli ultimi anni, vicino ai clochard, che sopra i cartoni ci vivono! È buffo... la stessa scatola che mi faceva sognare da bambino mi ha dato poi la precisa immagine di una dura realtà da adulto.