Colpevole


Davide Matricardi


Utilizzo l'esperienza della simulazione del processo effettuata nel carcere minorile C. Beccaria, per immaginare quello che sarebbe successo se esso si fosse effettivamente svolto come nella nostra rappresentazione (ovviamente semplificando le varie procedure legali-burocratiche), cercando di fare emergere le tematiche del corso che più mi hanno colpito.

Il pubblico è rimasto fuori: è la legge. Tutelano il minore.
L'ambiente é buio, non sembra una di quelle aule dei processi che si vedono nei film, c'è un'aria meno epica, più burocratica.
Entra il giudice, tutti si alzano, anche l'imputato.
Il Pm. legge l'accusa, fa la sua "richiesta", quello che la società vuole da chi ha infranto una delle sue leggi, una tra le più gravi: togliere la vita a un suo cittadino, ad un uomo, in questo a caso ad una ragazzina di 15 anni. Il tono della sua voce e deciso, sicuro di quello che afferma, che chiede, che pretende; il suo animo no, gli anni passati ad accusare criminali non abituano al senso di disagio che si avverte nel domandare al giudice di determinare la vita di una persona, colpevole o non colpevole che sia. Da come esporrà le sue tesi dipenderà il destino di questo ragazzo: lo guarda, un viso confuso, sembra ancora un bambino…la sua voce ha un tentennamento……eppure ha ucciso un'altra ragazza, anche lei sembrava una bambina, e lui l'ha uccisa, il ragazzo ha deciso per lei, ha determinato il suo destino, bloccando la sua vita; ….la sua voce riprende il tono deciso……,ma il rancore, la rabbia o la compassione, il perdono non c'entrano in tutto questo, rappresenta la legge, la legge deve difendere il cittadino, proteggerlo, e il ragazzo è una minaccia e va considerato come tale,….il discorso finisce…il Pm. si siede, il suo compito è terminato.

Salvator Dalì. Persistenza della memoria

 

Ora è il turno dei periti:
Tutti ripensano ai colloqui avuti con il ragazzo, lunghi, difficili: difficile tirare fuori le parole, difficile vedere le motivazioni, difficile far emergere il carattere, leggere il suo passato, capire il momento: difficile o impossibile. Comunque non richiesto, non del tutto almeno: la legge, la società chiedono loro se al momento dell'atto il soggetto era capace di intendere e di volere, se cioè aveva la capacità di apprezzare ciò che stava facendo, la capacità di valutare le conseguenze di tale azione e la capacità di autodeterminarsi, ovvero la possibilità di bloccare l'impulso criminale.

Hanno bisogno di certezze, non di dubbi, di analisi, di giochi etico-filosofici, l'imputato va definito: bisogna comprendere se voleva fare quello che ha fatto o no. La società ha bisogno di tracciare una riga tra la volontà, la cattiveria, la premeditazione e l'attacco di follia, quasi fosse un virus che colpisce e poi scompare nel nulla. Questo determina se l'imputato è punibile o no: é necessario. Il resto rientra nelle elucubrazioni dei filosofi, degli psicologi, o meglio dei giornali.

Tutti guardano il ragazzo negli occhi prima di parlare, poi tracciano il confine labile della sanità mentale, consapevoli del loro ruolo nello spettacolo, delle richieste dei loro "datori" che condizioneranno inevitabilmente il loro responso, ma anche questo fa parte del copione e gli attori devono rispettare la parte, sempre.
Il primo perito è quello dell'accusa: afferma che l'imputato è capace di intendere e di volere, parzialmente, quasi gli scappa di bocca.
Il perito "neutro" è più deciso: parzialmente incapace di intendere e di volere.
La difesa non ha dubbi: incapace di intendere e di volere.
Tutti argomentano la propria "scelta"; ad ascoltarli sembrerebbero tutti paradossalmente nel vero; sono esperti, dopotutto.

Il giudice ascolta, attento, fino all'ultima parola;
"Ora vorrei parlare con il ragazzo" anticipa. Si volta. Lui alza la testa fino a quel momento china, il giudice ha il pensiero più ovvio, più scontato: "Potrebbe essere mio figlio", ma anche a lei la società chiede di tenere fuori i propri pensieri, lei ha il compito più grave, e lo sa, più che dagli altri dipende da lei il destino di questo ragazzo:
Sai perché sei qui? Lorenzo si risveglia, come da un sogno Si.
Capisci quello che succede? Domanda sciocca, Credo di si.
Perché avevi un taglierino? Ancora, l'ho già spiegato a tutti, Ce l'hanno tutti.
Sai cosa hai fatto? Il volto di Lei gli appare nella mente Credo di sì.
Perché poi l'hai colpita? Non lo so non mi ricordo, davvero, non vedevo non capivo. Forse non volevo neppure. Non ricordo di avere scelto di farlo, è successo, come…come da solo, non potevo fare altrimenti.

Nella sua mente riaffiorano i ricordi dei giorni passati insieme, la gioia, poi i litigi, i riavvicinamenti, il senso di abbandono, la paura, schiacciante e terribile di restare solo, e la rabbia, il rancore di sentirsi tradito, ignorato, disprezzato; il rancore che cresce, fino a non poter tollerare più la Sua vista; il Suo sguardo che sembrava deriderlo ogni volta che si posava su di lui: il taglierino tra le sue mani…..
Sangue. Quello lo ricordo, il Suo, rosso vivo; il vetro dell'idrante si rompe sotto il mio pugno, probabilmente mi taglia non me ne accorgo nemmeno; un professore mi porta a lavarmi, non sa, non può sapere, mi tratta gentilmente, chissà se lo farebbe ugualmente, se sapesse. Poi confusione, le sirene, la gente, i colloqui infiniti, sfiancanti. La Sua immagine, ancora, di colpo, il Suo viso, le volevo bene, davvero, perché non lo capiva? perché mi ha rifiutato? Non sarebbe successo……

Cosa pensi adesso? Un solo pensiero: Non voglio andare in prigione, come se il mio desiderio potesse determinare il mio destino.

Il giudice fa sì con la testa, mentre ripete meccanicamente le parole di Lorenzo Non vuoi andare in prigione, si ritira.

Tra poco verrà emessa la sentenza. Non la capirò probabilmente. La accetterò, non posso fare altro, sono colpevole.