Dopo il gruppo del 29-09-08 a San Vittore

Livia Nascimben

  30-09-2008

Ciao Paola,
grazie di essere venute. Per noi tutti è stato un piacere incontrarti nuovamente, conoscere la tua collega e sentirvi riferire del nuovo progetto di incontri fra gli allievi della vostra scuola e il gruppo.
 
Oggi, oltre ad avere partecipato alla quotidianità del gruppo, avete visto in diretta come una persona può venire stimolata ad essere attivamente presente e come il gruppo partecipa collettivamente ad un evento così delicato.
 
Quella fase dell'incontro io l'ho vissuta con molta intensità. Mi sono rivista nella difficoltà di Andrea di esporsi e nei suoi tentativi di sottrarsi al contatto con se stesso e alla relazione con gli altri, pur di porre fine all'imbarazzo e alla sensazione di impotenza. Sentivo la fatica che faceva il prof ad "acchiapparlo" e la tensione, soprattutto di Rita, che sembrava volere dire "basta, lasciamolo in pace". Una volta iniziato il gioco, mollare la presa avrebbe significato smorzare la tensione, ma perdere la partita.
 
Commentare una poesia davanti a 20 persone sconosciute che in silenzio ti guardano e aspettano non sarebbe facile nemmeno per un adulto, figuriamoci per un 18enne arrestato il giorno prima e probabilmente non abituato a leggere e a riflettere su quanto letto.
 
Andrea è stato coraggioso a partecipare! E alla fine non se l'è nemmeno cavata male. Io, con i miei silenzi, ho fatto disperare cento volte di più chi avevo attorno!
 
L'adulto, quando capisce di avere di fronte un adolescente in difficoltà, credo abbia un dovere: ingegnarsi per fargli vivere, o anche solo annusare, un momento di libertà. Come? Probabilmente non c'è un'unica ricetta, ma l'obiettivo penso sia irrinunciabile.
 
Avere accanto un adulto che non ti molla ti fa vivere emozioni contrastanti. Al momento provi rabbia perché vorresti essere lasciato in pace, vorresti scomparire di fronte alla vergogna di non essere all'altezza e -come dice Andrea- vorresti trovare da solo la tua via, ma se le cose vanno bene ti senti anche cercato, desiderato e alla lunga cedi a quello che è il tuo destino, evolvere.
 
E' difficile però. Se Andrea, nonostante le sollecitazioni, non avesse parlato (ed era tra le possibilità) avremmo perso tutti. Lui avrebbe confermato a se stesso di non essere capace di pensare e avrebbe tolto potere e credibilità al prof e tutti ci saremmo sentiti impotenti. Invece qualcosa lui ha detto, attorno c’erano le condizioni per valorizzarlo e così, probabilmente, è tornato in cella sentendo di essere stato -nonostante tutto- presente. E la prossima volta sarà un po' meno difficile riprovarci.
 
Avevo 18 anni. Compito in classe di matematica: incredibile, non capivo come procedere in nessun problema.

- Panico! Non so fare nulla. Ho la mente vuota. Com'è possibile? Non lo so, ma è così.

Mi rassegno e comincio a giocare con la matita nell'attesa della fine dell'ora, e dell'agonia. La prof se ne accorge, mi viene di fianco e mi incita.

- Questo lo sai fare, dai fallo, fai questo conto.
- No, non sono capace.
- Sì che sei capace, fallo!

E stava lì, mi metteva la penna in mano, ma io desideravo solo sparire e la riappoggiavo subito sul banco. Poi si è messa lei a scrivere sul mio foglio ma niente, in quel momento ero troppo lontana per essere raggiunta.
 
Passa qualche giorno e riconsegna i compiti corretti. Li dà a tutti tranne che a me … in fondo che bisogno aveva di riconsegnarmi un foglio bianco?! Avevo preso 3.

- Il voto che mi meritavo. Valevo 3. Bene, bello schifo.
- Livia, vieni alla lavagna!
- Nooooo...

Non me lo ha nemmeno detto, mi ha chiamata con lo sguardo. Ero nei guai!

- Se non ho risolto il compito prima, come posso risolverlo adesso e per giunta alla lavagna? La mente è ancora vuota.
 
Ha preso il mio compito e ha cominciato a sventolarmelo davanti.

- Aria, aria Nascimben, prendi il gesso e leggiamo insieme il problema. 
- E leggiamolo, tanto è tempo sprecato, in più tutti vedranno che merda sono.

E' riuscita a strapparmi qualche parola, molte le ha aggiunte lei e alla fine quei benedetti problemi sono stati risolti, per me e per la classe. Mi ha dato 6. Per pietà.

- Dopo l'umiliazione anche la pietà. Bello schifo!

Questo episodio me lo ricordo in modo vivido. All’epoca mi sembrava di avere ricavato solo male da quell'esperienza, però avere avuto una professoressa "insistente" mi ha fatto sentire meno sola.
 
Oggi so che l'avermi chiamata alla lavagna aveva lo scopo di farmi rimediare alla catastrofe del compito e superare la sensazione del fallimento. In qualche modo questo lo sapevo anche allora, anche se non era bastato.
 
Che vita! Però quando riemergi è bello!!!

Beh, spero di rivedervi presto, magari a Bollate. Per il gruppo lavorare con le insegnanti (e con gli studenti) è sempre stimolante e impegnativo.
 
Livia