Oltre il bene e il male

Massimo Cacciari

Enciclopedia scienze filosofiche

Dice Platone - e qui la sua risposta diventa canonica -: "del male, e quindi del nostro far male, il Dio non può essere ritenuto causa. Dio è bene, Dio è immutabile, è semplice, è veritiero, ed è causa di tutti i beni. 'Theòs anàitios', Dio è innocente".

Tutta la riflessione teologica successiva si fonda su questo presupposto platonico: Dio deve essere ritenuto innocente dei mali del mondo, del nostro far male; e quindi è per nostra scelta, è per nostra libertà che noi facciamo male. Noi non siamo determinati dal Divino ad agire male; le nostre imperfezioni le nostre miserie sono frutto e prodotto della nostra libertà.

Dio è innocente, è l'uomo che è causa del male, è l'uomo - secondo il grande mito che Platone narra nella Repubblica - che si sceglie il proprio 'dàimon', il proprio carattere, il proprio demone. Ma non solo nel momento della scelta nella cultura classica greca l'uomo è libero, non solo nel momento supremo - come lo chiama Platone -: il momento supremo in cui io scelgo il mio carattere, il mio 'dàimon'.

Io sono in qualche modo libero anche durante la mia vita, e la mia libertà, però, coincide nel corso della mia vita con il conoscere; cioè io sono libero nel corso della mia vita di accumulare tutte le conoscenze necessarie perché poi nel momento supremo della decisione io possa essere consapevole del destino che scelgo.

Questo è un tema caratteristico della cultura greca, è la sua dominante - come dire - intellettualistica: la libertà dell'uomo si esplica essenzialmente nella sua volontà di conoscere. Soltanto qui sta la mia - come dire - possibile salvezza: io posso conoscere il destino, posso conoscere ciò che mi destina. Solo la conoscenza può salvarmi dal seguire - un'immagine che ricorre in tutta la cultura ellenistica, e anche nella cultura latina, non solo greca - il carro del destino in ceppi come uno schiavo oppresso.

Ciò che sta a me non ha nulla a che vedere con la possibilità di sfuggire il destino; ma ciò che sta a me è essenzialmente la possibilità di conoscere il destino, e dunque di seguirlo volentieri, non come gli schiavi seguono il carro dei vincitori, in catene. Se la mia libertà consiste nel farmi una ragione dell'unica ragione, dell'unico 'lògos' che pervade tutto il cosmo? Quando io mi son fatto questa ragione che cosa succede del male? Il male non consiste più, perché tutto è ragione e male e bene non diventano altro che due punti di vista soggettivi: il male non diventa nient'altro che ciò che fa male a me, ma che non riguarda affatto la ragione del tutto; il bene diventa soltanto ciò che fa bene a me, ciò che mi aiuta a vivere, ciò che aiuta il mio benessere, ma non riguarda la ragione del tutto. In cui il male e il bene cessano di avere alcun significato, perché ciò che ha significato è nient'altro che il necessario, il 'lògos' onnipervadente; male e bene hanno una consistenza veramente soggettiva. In fondo, se noi rimanessimo fissi a valutazioni di male e di bene, non faremmo altro che dimostrare la nostra mancanza di sapere, perché colui che sa non sa né di male né di bene: sa il necessario.