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EPICURO

(341-270 a.C.)

 

"Vuoto è l'argomento del filosofoche
non dà sollievoall'umana sofferenza"

 

Epicuro (letteralmente"salvatore") nacque sull'isola di Samo, suo padre era un maestro esua madre una maga. Appassionato di filosofia sin da giovane, a quattordicianni lasciò l'isola per studiare con il platonico Panfilo e l'atomistaNausifane, che gli fece conoscere il pensiero di Democrito. 

Soggiornò poi adAtene, a Colofone, a Mitilene e a Lampsaco, quindi nel 306 a.C., insoddisfattodell'insegnamento altrui, aprì ad Atene la sua scuola filosofica in una casacon un ampio terreno adibito a giardino, dove i seguaci vivevano in comunità(per questo vennero chiamati "filosofi del Giardino").

Sommario

1. L'adesione all'atomismo

2. Tutto è caos, niente è necessità 
(l'uomo liberato daldestino e dagli dei)

3. Le affezioni: il piacere e il dolore

4. La vera felicità (e il vero piacere)

5. L'ignoranza genera dolore

6. Il tetrafarmakon e la scala dei piaceri

7. Tre ingredienti per la felicità

 

1. L'adesione all'atomismo

La filosofia di Epicuro fu principalmentefilosofia etica, ma questo suo carattere pratico non escluse comunque unapproccio di fondo più propriamente "metafisico", Epicuro fu infattiun convinto sostenitore dell'atomismo democriteo. Sua fermaconvinzione era che "nulla nasca dal nulla" e che "nessuna cosasi dissolva nel nulla" (e in questo assunto era fedele ai primi filosofidella physis). Se l'evidenza del divenire come nascere e dissolversi delle coseè comunque certa perché dato immediato dell'esperienza, la spiegazione dellarealtà non può comunque privarsi di un fondo razionalista. Tutte le cose,infatti, pur mutando, devono preesistere in una forma immutabile. Gli entinascono dall'aggregazione di particelle semplici e indivisibili (gli atomi) chesi dividono e ritornano al loro stato elementare quando gli stessi enti sidisgregano. Non esiste quindi una distruzione assoluta degli enti: gli atomirimangono eterni e incorrotti, mentre sono le forme che mutano e si dissolvono.

2. Tutto è caos, niente è necessità

Ma se per Democrito il movimento chegenerava il vortice atomico era determinato da una precisa legge di necessità(gli atomi più leggeri salivano verso l'alto e quelli più pesanti cadevanoverso il basso), per Epicuro il movimento degli atomi è totalmente casuale:"nell'universo non esiste alcun ordinamento prestabilito e immutabile, e tuttociò che esiste è casuale e fortuito, quindi assolutamente sprovvisto di scopo edi senso." (E. Severino, La filosofia antica). Da questo consegue chel'uomo non è vincolato ad alcun destino predefinito, come invece affermavanogli stoici, e che nemmeno gli dei si interessano delle questioni umane, perdirla come Epicuro "gli dei non si occupano del destino degli uominipoiché si godono indifferenti la loro beatitudine".

Epicuro afferma che all'idea del Fato che civincola nella sua necessità sarebbero preferibili anche gli antichi miti suglidei, ritenendo che la felicità dell'uomo debba passare per la coscienza che nonesiste alcuno scopo e alcuna logica che sottende gli eventi. Dunque, mentre perKierkegaard e Sartre questa assenza discopi dell'esistenza conduce all'angoscia e alla nausea, in Epicuro la totalegratuità della condizione umana è prerogativa di felicità, poiché libera l'uomodal turbamento che lo coglie quando si sente oppresso dalla logica dellepunizioni e delle ricompense divine. E' dunque la liberazione dall'inganno edall'errore della superstizione che produce nell'uomo la tranquillitàdell'animo.

3. Le affezioni: il piacere e il dolore

Scrupolo di Epicuro è attenersi il piùpossibile all'evidenza originaria delle cose, poiché è nell'evidenza che simostra la verità. Epicuro ritiene quindi di individuare negli uomini due statid'animo innegabili e originariamente irriducibili: il piacere e il dolore.Questi stati d'animo, che vengono chiamati da Epicuro "affezioni",sono i due sentimenti che muovono tutte le azioni degli uomini. Il piacere èquindi principio di bene, il dolore è invece sintomo di errore e quindi dimale, queste sono verità originarie e di per sé evidenti che non hanno bisognodi essere provate.

Oltre alle affezioni, da ricordare cheper Epicuro sono evidenze innegabili anche gli stati sensibili (il caldo, ilfreddo, la luce, il buio, il dolce, il salato, ecc.), e anche le cosiddette"prolessi", ovvero quelle rappresentazioni generali della mente checi danno il senso degli eventi presenti sulla base dell'esperienza di quellipassati).

Dunque è evidente la radice"materialista" dell'epicureismo: sono gli stati sensibili gli unicifatti che godono il privilegio di un'evidenza innegabile e quindi possono dirsiverità.

4. La vera felicità (e il vero piacere)

Ma, contrariamente a quello che si puòpensare, per Epicuro la vera felicità non consiste nel piacere dei dissoluti.Come già per Socrate, Epicuro afferma che un piacere che conduce a successiviaffanni non può dirsi vero piacere. Il vero piacere è un piacere che è giàcompiuto in sé, che non si incrementa e non decresce, resta stabile, perchérappresenta la perfezione. A questo tipo di piacere si arriva per sottrazionedel dolore: il vero piacere è quindi assenza di dolore fisico (aponia,"privo di pena") che spirituale (atarassia, "privo diturbamento").

Sul dolore fisico Epicuro sostiene chese è lieve non può offuscare il piacere di vivere, se è acuto, dura poco e seacutissimo conduce presto alla morte. In quanto alla morte, Epicuro riproponela natura materialista della sua dottrina: il corpo è un'aggregazione di atomi,tutti gli stati dolorosi e sensibili provengono dal corpo in quantoaggregazione, la morte è disgregazione degli atomi, quindi la morte è assenzadi dolore perché è assenza di percezioni. Con le parole di Epicuro: "Nullac'è di temibile nel vivere per chi sia veramente convinto che nulla di temibilec'è nel non vivere più".

Una volta però accettata la morte comeannullamento del corpo e assenza del dolore, resta il fatto che la morte puòimpedire di fatto che si viva la felicità, e per questo può essere un male.Epicuro ribatte allora che se la vera felicità, il vero piacere, è l'assenzadel dolore, allora il massimo piacere che un uomo può provare in vita non èsuperabile una volta raggiunto, poiché non si può, una volta tolto il dolore,pretendere di togliere altro. La vera felicità è già compiuta in sé, e nonbasterebbe quindi l'eternità per raggiungere una felicità più grande. L'uomoche non conosce la felicità come assenza del dolore è destinato a soffrireinvece per tutta la vita, alla ricerca continua di nuovi piaceri che maisoddisferanno la sua sete di felicità.

5. L'ignoranza genera dolore

L'uomo è destinato a provare dolore senon conosce la verità, e la verità si rispecchia nel saper distinguere il veropiacere dal piacere dei dissoluti. La saggezza e la sapienza conducono quindiall'autentica felicità, in quanto è grazie al loro apporto che l'uomo si mettein quella disposizione d'animo che lo conduce a fare chiarezza sulle cose. Ilvero piacere è l'assenza del dolore, ma ignorandone il significato l'uomo nonpuò che cadere nell'errore, è dall'ignoranza che scaturiscono tutti i mali, lepene e le cure. Partendo da questa verità, presente alla coscienza del saggio edel sapiente, l'uomo può finalmente derivare tutto quell'insieme di regole divita che permettono all'uomo di curare il male dell'anima (e sopportare dunquecon maggiore coraggio il male del corpo). Se l'ignoranza del vero senso delpiacere conduce al dolore, la verità conduce allora al piacere.

Compito della filosofia epicurea èquindi dare all'uomo un metodo valido per superare la percezione del dolore edell'infelicità, veri mali del mondo. E' dunque funzione della filosofia, checonsiste infatti "nell'aver cura della sapienza", fornire l'uomo deimezzi più validi per chiarire il vero significato del piacere e quindi dellafelicità, perché non conoscendone il vero significato, gli uomini sarebbero inbalia di quell'ignoranza che li farebbe brancolare nel buio, impedendo loro diapprodare alla serenità dell'animo.

6. Il tetrafarmakon e la scala dei piaceri

E' in ragione di quanto si è detto chela filosofia epicurea si costituisce come vero "farmaco" per l'anima(pharmakon significa "medicina"). Epicuro stila dunque una lista diquattro regole auree per la serenità dell'animo, il tetrafarmakon (altrimentidetto "quadrifarmaco"):

1. Se anche gli dei esistono, non siinteressano comunque delle vicende umane; 
2. Essendo disgregazione degli atomidel corpo, e quindi assenza di percezione, la morte, in sé, non costituiscedolore; 
3. Il piacere è accessibile a tutti; 
4. Se un dolore è acuto, alloraconduce presto alla morte (che è assenza di percezione e quindi di dolore), seè breve, è sopportabile.

Ecco dunque il "breviario"della pratica epicurea: la prima regola permette di liberare l'uomo dal timoredel castigo divino, la seconda lo libera dal timore della morte, la terzaindica ad ogni uomo che può raggiungere la felicità, la quarta permette diaffrontare con la giusta serenità il dolore fisico.

Esiste poi una scala dei piaceri chepermette di discernere il piacere più autentico da quelli accessori, alla basevi sono i piaceri indispensabili ad una vita felice, oltre si pongono i piaceriche possono anche essere trascurati e non sono necessari per il conseguimentodella felicità.

I piaceri fondamentali e necessari,senza i quali l'uomo non può essere felice, sono quelli naturali: l'amicizia,la libertà, la consolazione e il conforto del pensiero e della parola, ma ancheun riparo per il corpo, del cibo, dei vestiti.

Giungono poi i piaceri naturali ma nondel tutto necessari, quali, ad esempio, una grande dimora, uno stuolo diservitori, i banchetti, le terme, l'abbondanza delle portate, il lusso e laricercatezza. Tali piaceri possono portare sia alla felicità che all'infelicità, in quantosi possono provare anche ignorando la verità circa la vera natura della vitafelice.

Infine vi sono i piaceri del tuttoaccessori (i piaceri dei dissoluti), come, ad esempio, la fama, il potere e lagloria (i quali sono anche dannosi).

Un motto degli epicurei era "vivinascosto": contrariamente agli stoici, che predicavano la partecipazioneattiva alla vita pubblica, gli epicurei prediligevano la cura della propriaanima. Epicuro non predicava quindi l'eccesso e l'abbondanza (come talora sipuò essere portati a credere secondo l'uso moderno del termine"epicureo"), ma la ricerca e il conforto del necessario.

7. Tre ingredienti per la felicità

L'amicizia. "Di tutti i beni chela saggezza procura per la completa felicità della vita il più grande di tuttiè l'acquisto dell'amicizia."

Epicuro teneva in gran conto la veraamicizia. Il vero amico è colui che ama e rispetta l'altro per ciò che è e nonper ciò che possiede. Tra veri amici si crea intimità, si condividonomalinconie, ci si conforta. L'amicizia è in grado dare sicurezza nella misurain cui ci sentiamo compresi e accettati.

Sfidando i costumi, Epicuro e i suoiseguaci vissero in una grande casa priva di lusso e di decori, tuttaviacoltivavano ciò di cui avevano bisogno per mangiare, e, cosa più importante,mangiavano assieme. "...dilaniare carni senza la compagnia di un amico èvita da leone e da lupo".

La libertà. L'uomo libero è già a unpasso dalla vera felicità, l'uomo che si libera dalle opinioni altrui lo èancora di più. Si è già visto come per Epicuro la libertà dal volere degli deisia già di conforto, a maggior ragione la libertà dell'uomo di fronte alproprio destino o a qualsiasi destino imposto da altri uomini è motivo difelicità e di piacere.

Il pensiero, la parola e la scritturaconsolatoria. La comunità epicurea era votata alla discussione dei problemi ealla riflessione. Molti degli amici di Epicuro erano scrittori e poeti. Epicuroamava discutere ed esaminare le proprie ansie legate al possesso del denaro,alle preoccupazioni legate alla salute, alla morte e all'aldilà. Discutererazionalmente della morte avrebbe aiutato, secondo il filosofo, ad alleviarnela paura. L'analisi lucida delle ansie e delle paure, sia per mezzo delladiscussione che della scrittura, se non è un rimedio assoluto, è tuttavia unaconsolazione, cosa che, a fini pratici, è tutt'altro che da sottovalutare.

"Ciò che al presente non ci turba,stoltamente ci addolora quanto è atteso". Questa frase riassume benel'atteggiamento filosofico di Epicuro: la vita è pratica di felicità, nonconviene pensare a ciò che potrà accadere in futuro se questo implica la rovinadella propria serenità presente.

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