Una carretta di mare

Francesco Leotta, Silvia Casanova

22-04-2011  

Il maltolto sarà mai ripagato? L’isola c’è o non c’è? E vivere gioie a lungo termine serve? Ma io poi, gioie corte e lunghe, le ho mai davvero vissute?

Facendo la fila, avrei dovuto imbarcarmi da clandestino su una carretta di mare, però mi ributtavano indietro come uno sconosciuto.

Non pensavo e non sapevo di quel “nuovo mondo” e di cosa comportasse arrivare in quella penisola. Era destino, che se fossi arrivato ad un’isola, questa sarebbe stata deserta.

Senza poter parlare con nessuno si disimpara a stare tra gli uomini, ma l’isola non era deserta come credevo, ero io che avevo difficoltà ad esprimermi e a prendere l’iniziativa nel parlare; a volte non ci riesco ancora e allora mi introduco nei discorsi con una battuta banale.

Facendo ironia, qualche volta credo di poter superare le onde del mare. Ho la schiena dolorante per la potenza del mare, dall’acqua salata che ho inghiottito mentre in cuor mio gridavo aiuto; poi mi svegliavo sempre con le tasche piene di sabbia (e di psicofarmaci). Sognavo la penisola, sognavo sempre il modo di potermi imbarcare per scoprire se quella terra fosse abitata.

Immaginavo un’isola con attorno un mare pulito e azzurro e la sabbia bianca come la carnagione di una nobile principessa; da lontanto immaginavo la terra seminata di grano maturato dal sole. Resta una mia illusione, a meno che io non mi metta d’impegno e la raggiunga a nuoto; sarà dura e lunga, ma se non lo faccio, so che tornerò nel mondo di conflitti che sono dentro di me.

Ho buttato sangue, sudore e veleno lottando contro un male che credevo incurabile. Dalla carretta ho preso un treno, nonostante il cuore fosse ancora una volta nero dalla morte che tocca i miei cari mentre io mi sento impotente. Non posso curare, ma posso riflettere, questo è un modo per trascorrere il resto di una sfortunata vita.

Con questo bagaglio che vi ho appena raccontato mi sono imbarcato, anzi, qualcuno mi ha messo sopra la carretta del mare; qualcuno mi ha fatto sentire utile e gradito anche se ho fatto solo ciò che sono; il lavoro insieme agli altri mi ha dato il coraggio di essere me stesso.