Il cianuro

Gabriele Tricomi

11-07-2010  

Quando facevo parte del contesto criminale, nei periodo cosiddetti di guerra, i gruppi rivali si fronteggiavano a suon di pistolettate. Si andava in giro come cacciatori. Passi lenti e senza rumore, lo sparo, il morto o il ferito e si tornava nel rifugio. Era molto importante non lasciarsi individuare, i capi davano ordine tassativo di non farsi catturare. Con la cattura, oltre alla tortura e una morte certa, il “tradimento” era scontato: troppe e atroci le pene da sopportare, con la cattura altre persone sarebbero morte. Dovevamo lottare sul posto e, se sopraffatti, farci ammazzare piuttosto che rivelare il nascondiglio dei nostri capi.

In quel periodo la morte mi stava vicino giorno e notte, eppure non la temevo. Io, che a quell’epoca ero un diciottenne spavaldo e incosciente, consideravo quella morte un "atto" eroico. Ma conoscevo le varie fasi della tortura e quella che precedeva la morte, e di quella sì che ero terrorizzato. Tanto desideravo affermare il mio essere che agli altri componenti del gruppo proposi di dotarci di un pezzetto di cianuro. In buona sostanza dovevamo evitare la tortura.

Era anche quello un suicidio, come lo è quello che avviene nelle carceri. Infatti il detenuto, pur di evitare la tortura, si porta sempre in tasca il suo cianuro. A mio avviso bisogna togliere dalle tasche del detenuto quel pezzetto di veleno, ma per farlo bisogna rassicurarlo e spiegargli che in carcere la tortura non esiste più.

Per farglielo capire meglio potrebbe essere utile un sindacato per i detenuti che, tra l'altro, potrebbe promuovere delle iniziative per fronteggiate la tendenza al suicidio, potrebbe ridurre la partecipazione a discorsi futili e poco costruttivi, quelli che alla fine portano l’individuo alla solitudine e allo smarrimento.

Anche io in carcere avevo cercato spesso quel pezzetto di cianuro. Prima di trovarlo, ho avuto fortuna perché ho compreso che, sia per il brutto che per il bello, lo sforzo che fa una madre per mettere al mondo un figlio è lo stesso. E così, nonostante le talpe mi rodessero dentro, ho ripreso fiducia nella possibilità di germogliare.