Il masso in tasca

Delia Russo

22-11-2010  

Ho visto le ultime prove e mi sembra sempre più chiaro che nel nostro mito di Sisifo l'acqua rappresenta la Legge. La mancanza d'acqua simboleggia lo sfaldarsi della rete legale e della civiltà per cui a Corinto si litiga e la città si va sfasciando. La legge è l'elemento grazie al quale l'individuo può realizzare le sue potenzialità in modo costruttivo, con gli altri nella collettività.

Questo venir meno della legge crea le condizioni perché Sisifo intraprenda la strada sbagliata, pur se questo non lo deresponsabilizza, in quanto egli aveva la possibilità di scegliere altre vie.

Premesso questo, una volta che la condanna è stata inflitta, il senso della pena passa proprio attraverso la relazione Sisifo-masso. Che il masso sia parlante (cosa che infastidisce Sisifo), è fondamentale perché proprio relazionarsi con gli altri permette al detenuto di esprimere i propri conflitti, di rappresentarli per poi sentirsi parte della collettività. Forse il masso somiglia a ciò che fa il Gruppo della Trasgressione.

 

Mi piace pensare che al momento in cui Zeus condannò Sisifo a portare il masso dalla base alla cima della montagna, in un eterno tragitto sempre uguale a se stesso, quel famoso masso glielo avesse legato alla caviglia, come ai condannati di un tempo.

Così, Sisifo si trascinava appresso questa pietra che, seppure di dimensioni non gigantesche, gli impediva di camminare libero come gli altri esseri umani. Egli non vedeva quel masso che lo seguiva come un’ombra, non voleva guardarlo per vergogna e per paura, si limitava a procedere zoppicando, tentando qualche trucco per liberarsene o per dimenticarsene almeno per un po’. Ma puntualmente, ogni volta che arrivava in cima convinto di aver avuto la meglio, il suo masso lo faceva rotolare a valle e ogni volta la salita diventava più ardua e il masso più pesante.

Sisifo si arrabbiava con Zeus, con se stesso, con gli altri che non vedevano quella pietra che gli impediva il passo. Si sentiva un condannato a morte.

Finché un giorno si chinò e prese il masso tra le mani. Ora non ce l’aveva più dietro le spalle, era grande e imponente, ma lo poteva guardare negli occhi. Lo riconobbe come suo, quello era il suo masso e non quello di qualcun altro, aveva la forma che lui gli aveva dato con il suo procedere in quegli anni. E con il suo masso stretto al petto iniziò di nuovo a salire.

Forse questa volta la salita è più faticosa, perché camminare con un masso così grande tra le mani è più difficile che trascinarselo appresso. A volte la fatica gli fa venire meno le forze, deve sforzarsi per scorgere la cima della montagna, oltre il masso che con la sua mole gliene impedisce la vista.

Di sicuro questa volta il percorso non è uguale a quello già compiuto infinite volte e forse un giorno, arrivato in cima, si accorgerà con stupore che il suo masso è diventato un sassolino, che può mettersi in tasca e portarsi sempre dietro senza sentirne il peso, e tra le mani avrà tutto ciò che salendo è riuscito a raccogliere.