Il ruolo: gioco e realtà

Aldo Rotolo

01-02-2004  

Una lettera, una delle tante che ricevo dai miei figli.
Al suo interno un voluminoso plico di fotocopie con il regolamento di un gioco di “ruolo” che Michele mi inviava per giocare a distanza con loro e sentirmi più vicino a lui. Leggo subito tutte le regole: si tratta di un gioco in cui i partecipanti sono protagonisti di una storia che creano loro stessi, momento dopo momento; il master o narratore, espone una situazione e chi gioca con lui, calandosi nel ruolo del proprio personaggio, racconta a turno la sua realtà.

L’ho trovato una metafora del vivere, dove nessuno vince o perde, ma ognuno è obbligato a reagire a determinate vicende che il gioco crea, tenendo presenti le regole spesso limitanti che il ruolo prevede e cercando di raggiungere obiettivi prestabiliti. Il compito che la vita ci assegna, a volte con le sue bizzarre circostanze, come in Heroclix (cosi’ si chiama il gioco), è una parte che noi viviamo o anche recitiamo, magari credendoci, senza però perdere la nostra vera identità.

Ognuno di noi può, a seconda delle situazioni che sta vivendo, mettere in luce solo una parte di se stesso, della propria personalità, che è quella più attinente al ruolo sostenuto, lasciando in penombra altri aspetti. Per questo vedo nel ruolo un mix tra gioco e realtà. Il ruolo che interpretiamo è un canovaccio di diritti e doveri entro cui muoversi, pur nella personalizzazione che ciascuno ne fa.

Dal bigliettaio al poliziotto, dal magistrato al veterinario, tutti hanno l’obbligo di conoscere e rispettare quelle regole entro cui il ruolo viene espletato. Ma io sento che questo porta alla creazione di un universo doppio: da una parte il ruolo con la sua rete di doveri e di diritti; dall’altra la persona che si rapporta al ruolo stesso interpretandolo.

Penso che anche all’interno del mondo carcerario, ogni detenuto, pur rimanendo se stesso, si costruisce un personaggio e interagisce con gli altri detenuti e la struttura esattamente come nel gioco dei miei figli. E, come in quel gioco, anche nella realtà ognuno si trova obbligato a fare i conti con le regole che il “master” o la società impongono. In entrambe le situazioni il ruolo che interpretiamo è solo momentaneo, fittizio e spesso limitante.

Le regole, a seconda della problematicità loro stessa e del modo in cui le viviamo, segnano profondamente il nostro stile di vita e il nostro rapporto col ruolo. Chiamati a fare i conti con ciò, vediamo nel ruolo nostro o di altri quel “losco figuro” che ci è parso di vedere all’inizio della nostra riflessione sul ruolo.

Un approccio più sereno e disincantato, anche se serio, alle regole che il ruolo impone non può che essere auspicabile. Il gioco di Michele e le sue regole possono aiutarci.
I dadi, dove sono? Giochiamo!