La strada

Marcello Lombardi

31-01-2005  

 

A volte mi capita di essere tormentato da brutti pensieri che mi portano lontano, al limite della vita.

E’ come se mi trovassi su una strada in cerca di qualche cosa, il cuore batte con violenza, tutto mi parla con eloquenza.

Il senso di identificazione composto da miriadi di strati della memoria è così potente che in esso vorrei dissolvermi. La strada non ha né principio né fine, è completa in se stessa, buia e deserta. Mi investe. Ne sono divorato. Mangiare è delizioso… ma essere mangiati è la forma più straziante di unione con il mondo.

Una specie di comunione al rovescio.

Sulla strada qualche cosa mi attende, non in fondo, perché la strada non ha fondo, ma su un confine superato.

Il suo richiamo è sempre breve e brusco: “vieni, andiamo”. Impotente, adatto il mio passo al suo.

La fine di questo pensiero è sempre la stessa.

Improvvisamente ho coscienza che la strada parla della mia infanzia e a partire da qui comincio un’esplorazione del passato, ma di un passato diverso da quello della strada, questo passato è attivo. I ricordi non penetrano sotto la superficie, l’altro passato così profondo poneva distacco fra me, il presente e l’avvenire. Era senza durata, e se ne parlo come di un passato è unicamente per suggerire a me stesso l’idea di un ritorno, che non è veramente un ritorno, ma piuttosto un tentativo di restaurazione.

Un pesce che risale alla sorgente del proprio essere.