Lo scimpanzé con le scarpe

Ivano Longo

Mi sento in una strana situazione; studio mentre vengo studiato, ma tutti stiamo imparando, studenti e studiosi.

Mi accorgo che man mano che vado avanti nelle mie giornate, scopro sempre qualcosa di nuovo, qualcosa su cui lavorare. Il lavoro sul rancore che stiamo affrontando in questo periodo è serio e complicato; mi riporta indietro negli anni, alle cose che mi hanno segnato; mi tornano in mente vecchi ricordi, vecchie situazioni dove il rancore la faceva da padrone.

Mi accorgo di volta in volta che non vorrei sentire le cose che ho sepolte dentro di me perché mi fanno male, situazioni che ero riuscito a nascondere anche a me stesso e per anni; procedere nel lavoro è complicato perché appena si parla di rancore la mia mente attua un meccanismo di difesa che è quello di una sottile nebbia che mi impedisce la visuale.

Però qualcosa di buono in tutta questa storia c’è, ed è quella di aver iniziato dopo molto tempo a riconoscere le cose che mi hanno fatto soffrire.

Una di queste è l’aver scoperto che il mio rancore è molto più forte e radicato di quanto io pensassi; credevo di aver dimenticato certe situazioni, di non averle mai vissute, ed invece eccole qui che spuntano come funghi, ogni parola mi riporta a qualcosa di forte, qualcosa di violento.

Il rancore mi ha portato a giudicare le persone che mi erano vicine e quindi ad allontanarle, a colpevolizzarle, a farle diventare talmente irreali da non sentirne più la voce. Ho dato a ciascuna di queste figure un ruolo, una posizione nella mia vita, un giudizio, ma ho tralasciato qualcosa di importante, e cioè che anche queste persone a loro volta, hanno vissuto del rancore per qualcuno o addirittura nei miei confronti.

Quando vivi in modo turbolento perdi di vista quello che hai intorno, non gli dai il giusto valore, lo sottovaluti, lo eviti, non ci pensi perché ti dici che il tuo dolore è più importante e più forte; ma con questo comportamento alimenti il rancore nell’altro.

Dobbiamo tornare ad essere i primati che eravamo prima di mettere la maschera. Dobbiamo rivalutare le varie situazioni, mettendoci in gioco; dobbiamo prendere atto che non siamo dei santi e che con i nostri comportamenti abbiamo causato agli altri le stesse cose che gli altri hanno causato in noi.

Ognuno poi ha reagito a queste intemperie a modo proprio: chi si è costruito una bella maschera, chi ha semplicemente allontanato il problema e chi lo ha combattuto con le stesse armi. Credo che tutti e tre questi modi di procedere siano deleteri per il nostro cambiamento e per la nostra crescita.

Mentre mi lascio andare scopro il piacere di studiare. E intanto procediamo verso Pavia.